Santi & Sposi

GIUGNO

Sommario

1 GIUGNO.. 5

Beata Hildegard Burjan Fondatrice. 5

Beato Giovanni Storey Laico coniugato, martire. 7

2 GIUGNO.. 7

3 GIUGNO.. 7

Santa Clotilde Regina dei Franchi 7

Beata Beatrice Bicchieri Domenicana. 9

San Pietro Dong Martire. 9

4 GIUGNO.. 9

5 GIUGNO.. 9

Beato Adamo Arakava Laico giapponese, martire. 9

Santi Domenico Toai e Domenico Huyen Martiri 9

6 GIUGNO.. 9

San Gilberto Eremita ed abate in Alvernia. 9

Santi Artemio e Candida Sposi e martiri 10

7 GIUGNO.. 10

Santi Geremia e altri Martiri a Cordova. 10

San Godescalco Re dei Vendi, martire. 11

8 GIUGNO.. 12

9 GIUGNO.. 12

Beata Anna Maria Taigi Madre di famiglia, terziaria trinitaria. 12

Santa Madrun Vedova. 15

10 GIUGNO.. 15

Beato Enrico da Bolzano Laico, venerato a Treviso. 15

San Getulio Martire. 16

11 GIUGNO.. 17

Beata Iolanda di Polonia Badessa. 17

12 GIUGNO.. 18

13 GIUGNO.. 18

Beata Marianna Biernacka Martire. 18

San Smbat il Confessore Generale armeno. 19

14 GIUGNO.. 20

Beata Costanza de Castro Terziaria francescana. 20

15 GIUGNO.. 21

Santa Barbara Cui Lianzhi Martire. 21

16 GIUGNO.. 21

Santa Giulitta (o Giuditta) Martire. 21

17 GIUGNO.. 22

San Nicandro Martire. 22

Beata Teresa del Portogallo Regina di Castiglia, cistercense. 24

18 GIUGNO.. 24

San Potentino e familiari Eremiti 25

19 GIUGNO.. 25

Sant'Abgar V Ukama (il Nero) Re di Edessa. 25

Santi Lupo e Adleida Sposi e martiri 26

Beata Michelina (Metelli Malatesta) da Pesaro. 26

20 GIUGNO.. 27

Beata Margherita Ball Madre di famiglia, martire. 27

21 GIUGNO.. 28

22 GIUGNO.. 28

San Tommaso Moro Martire. 28

San Flavio Clemente Console e martire. 29

San Paolino di Nola Vescovo. 30

23 GIUGNO.. 32

Sant'Eteldreda di Ely Regina di Northumbria. 32

Beata Maria di Oignies Fondatrice delle Beghine. 33

Santi Martiri di Nicomedia. 35

24 GIUGNO.. 36

San Simplicio di Autun Vescovo. 36

25 GIUGNO.. 36

Sant'Eurosia di Jaca Martire. 36

Santi Pietro (David) e Febronia (Eufrosina) Sposi e monaci 37

Beata Dorotea da Montau Vedova. 37

26 GIUGNO.. 39

Vladimiro (Volodymyr) Pryjma Martire ucraino. 39

27 GIUGNO.. 39

28 GIUGNO.. 39

Santa Maria Du Zhaozhi Martire. 39

Santi Martiri di Alessandria d'Egitto. 39

29 GIUGNO.. 40

San Pietro Apostolo. 40

Beato Raimondo Lullo Terziario francescano, martire. 43

Santa Emma di Gurk Contessa. 44

Sante Maria Du Tianshi e Maddalena Du Fengju Martiri cinesi 45

San Paolo Wu Yan, Giovan Battista Wu Mantang e Paolo Wu Wanshu Martiri cinesi 45

30 GIUGNO.. 46

Santi Andronico e Giunia di Roma Sposi, discepoli di San Paolo. 46

San Ladislao Re d'Ungheria. 47

Santi Primi martiri della santa Chiesa di Roma Martiri 49

 


 

 

1 GIUGNO

hildegard burjanBeata Hildegard Burjan Fondatrice

Go¨rlitz sulla Neisse, 30 gennaio 1883 - 1 giugno 1933

 Sposa, madre, studiosa con una visione attenta ai problemi sociali per trovare nuove forme di assistenza e di solidarietà. Fu anche il primo deputato donna cristiano-sociale in Parlamento. Fondatrice della società delle suore della Caritas socialis, trasse dalla fede la forza per il suo impegno. Era ebrea e divenne cattolica dopo una grave malattia.

 

Il 30 gennaio 1883 i coniugi Abraham e Berta Freund, abitanti a Go¨rlitz sulla Neisse, appartenente allora alla Slesia prussiana, ebbero la gioia della nascita di una seconda figlia. La giovane Hildegard crebbe in una famiglia del ceto medio borghese, di origine ebraica, ma non vincolata confessionalmente. Per motivi professionali nel 1895 la famiglia si trasferì da Go¨rlitz a Berlino e nel 1899 nella Svizzera.

Hildegard sviluppava in se stessa una personalità pretesa ad ideali elevati. Come molti giovani del 19° secolo che stava per finire, era alla ricerca di valori, di ideali, di qualcosa di grande. Nel 1903 ottenne la maturità a Basilea e iniziò all’Università di Zurigo lo studio di germanistica. Frequentava però anche delle lezioni complementari di filosofia, perche` era interessata a molti problemi - circa il senso della vita, circa la verità    ... - e cercava delle risposte. Attraverso l’opera del filosofo Robert Saitschik e dello studioso della pace Friedrich Fo¨rster per la prima volta fu posta a confronto con il patrimonio del pensiero cristiano.

In Hildegard cominciò a farsi strada l’idea che lo sforzo assoluto dell’essere uomo perfetto restera` sempre imperfetto, se Dio non è la meta di ogni agire e operare. Lei avvertì di dover prendere una decisione per il resto della sua vita, ma doveva ancor superare degli ostacoli interiori. La grazia del poter credere non le era stata ancor concessa.

Durante il corso degli studi conobbe lo studente di tecnica Alexander Burjan. Questi era di origine ungherese e di famiglia ebrea. Il 2 maggio 1907 i due si unirono in matrimonio e si trasferirono a Berlino. Hildegard si trovava alla vigilia della conclusione dei suoi studi.

Il 9 ottobre 1908 la giovane sposa fu ricoverata nell’ospedale cattolico St. Hedwig per una colica renale. Il suo stato di salute si aggravò a vista d’occhio e dovette sottoporsi a diversi interventi. Durante la Settimana Santa del 1909 era in fin di vita. I medici avevano perso ogni speranza di guarigione e la curarono con la morfina per alleviarle i dolori. Il mattino della festività di Pasqua accadde il fatto incomprensibile - lo stato di salute della moribonda migliorò sensibilmente e la piaga iniziò a guarire. Dopo sette mesi di permanenza in ospedale fu dimessa per ritornare a casa. Per tutta la sua vita però ebbe a soffrire a causa delle conseguenze di questa grave malattia.

L’esperienza di questa malattia diede una svolta totale alla sua vita. Hildegard fu profondamente scossa e turbata di come Dio l’avesse guidata nella vita. Ora avvertì in se´ la forza di poter credere. Aveva avuto il suo peso in questa vicenda l’esempio cristiano delle suore dell’ordine religioso che l’avevano curata - le suore borromee. Ciò che non le era riuscito con la razionalità`, con l’intelletto, lo comprese ora con il cuore. L’11 agosto 1909 ricevette il sacramento del Battesimo.

Hildegard iniziò ad ascoltare la voce interiore – cosa voleva Dio da lei? Essa stessa era solo consapevole che la vita, che le era stata ridonata, doveva appartenere solo a Dio e agli uomini. Nel corso dello stesso anno i coniugi Burjan si trasferirono a Vienna, dove Alexander aveva avuto l’offerta di una funzione direttiva.

Hildegard venne presto a contatto con circoli cattolici di Vienna, soprattutto con gruppi, che discutevano le affermazioni della prima enciclica sociale, la “Rerum novarum” del papa Leone XIII (1891).

Per quanto riguarda il suo impegno sociale Hildegard dovette dapprima trattenersi, perché´ era in attesa di un figlio. Per la sua salute minata questo evento costituiva un pericolo di vita. I medici a motivo dell’indicazione medica esistente consigliavano di abortire. A ciò lei si oppose decisamente. Il 27 agosto 1910 venne al mondo sua figlia Lisa. La nascita riportò nuovamente la madre in fin di vita e fu indispensabile un più prolungato ricovero in ospedale.

http://www.santiebeati.it/immagini/Thumbs/95597/95597C.JPG Negli anni successivi Hildegard Burjan cominciò a sviluppare coerentemente la sua “concezione sociale” e a perseguire lo scopo della sua vita, la fondazione di una comunità religiosa di suore. Le sue poliedriche attività caritative e più avanti quelle politiche, che richiedevano molta disponibilità di tempo, portarono lei come ogni altra donna e madre impegnata fuori della famiglia anche in situazioni conflittuali - per poter soddisfare le esigenze di ambedue gli ambiti, quello pubblico e quello della famiglia. Unicamente il suo grande talento organizzativo la mise nella condizione di affrontarli tutti e due.

I Burjan avevano una casa grande. Alexander raggiunse il posto di direttore generale in una grande impresa industriale. A motivo della sua attività poliedrica nel settore pubblico il nome di Hildegard divenne presto degno di considerazione. I vertici del mondo economico e politico erano frequentemente ospiti in casa Burjan. Per Hildegard questa realtà significava vivere in due mondi diametralmente opposti: moglie di un direttore generale e nel contempo difensore degli oppressi e diseredati.

Le smisurate richieste consumarono le sue energie. Alla sua malattia cronica si aggiunse il diabete. Anche gli effetti di una pressione sanguigna alta le crearono problemi. Nel breve arco di tempo concessole per realizzare i suoi ideali, lei diede inizio, assai in anticipo rispetto al pensiero sociale della sua epoca, a dei progetti che trasformarono in maniera decisiva l’ampio ambito dell’assistenza. Punto di partenza e motivazione per l’agire e operare di Hildegard era la sua profonda comunione con Dio. Lei era convinta che la sua missione era di annunciare l’amore di Dio mediante il suo agire sociale. In ascolto della volontà di Dio e dei bisogni degli uomini, cercò di assolvere questa missione.

Già segnata dalla morte, nel ricordo del suo amico e accompagnatore spirituale, il prelato Dr. Ignaz Seipel, incominciò ad avviare la costruzione di una chiesa a Vienna.

Sull’attuale territorio del quartiere “Neu-Fu¨nfhaus”accanto alla chiesa doveva sorgere anche un centro sociale - idea innovativa per quell’epoca. Non sopravvisse però alla posa della prima pietra. L’11 giugno 1933 Hildegard Burjan morì, all’età di soli 50 anni.

Sulla sua pietra tombale nel Cimitero Centrale di Vienna si trova la scritta da lei desiderata: In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum. (Ho sperato in te, Signore. Non sia confuso in eterno.)

Il 6 giugno 1963 fu introdotto il processo di beatificazione della fondatrice della congregazione delle suore della Caritas Socialis.

Concluso il processo riguardante i miracoli e l’esumazione ad esso annessa, le sue spoglie dal 4 febbraio 2005 riposano nella cappella Hildegard Burjan nella sede centrale della comunità delle Suore della Caritas Socialis.

E' stata beatificata nel duomo di Santo Stefano, a Vienna, il 29 gennaio 2012.

 

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http://www.santiebeati.it/immagini/Thumbs/95597/95597.JPG Hildegard Burjan, sposa, madre e parlamentare

Oggi la beatificazione di Hildegard Burjan, sposa, madre e parlamentare.

a questo indirizzo potete scaricare gratuitamente un libretto in italiano con la sua vita.

http://www.hildegardburjan.at/files/hb_vita_italiano.pdf

Il cardinale Schönborn: la santità è possibile in politica

 Nel pomeriggio, nella Cattedrale di Santo Stefano a Vienna, proclamata Beata Hildegard Burjan, laica, madre di famiglia, attivamente impegnata in politica e fondatrice delle Suore della Caritas Socialis. A concelebrare il rito, il cardinale arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, e – in rappresentanza del Papa - il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il servizio di Sergio Centofanti.

Grande festa in Austria per la Beatificazione di Hildegard Burjan: nata nel 1883, tedesca di origine ebraica, si converte al cattolicesimo; una volta sposata si trasferisce a Vienna, dove è eletta deputato nel parlamento austriaco. Vive l’attività politica come un servizio al Vangelo, a favore dei lavoratori oppressi, sulla scia dell’Enciclica sociale Rerum novarum di Papa Leone XIII. Nel 1912 fonda l’Associazione delle operaie cristiane a domicilio, aiuta le popolazioni affamate, crea una rete di assistenza alle famiglie, combatte il lavoro minorile. Nel 1919 fonda le Suore della Caritas Socialis. In tutto questo Hildegard vive pienamente la famiglia: ha una bella figlia, Lisa, che per motivi di salute, i medici le avevano consigliato di abortire incontrando il suo netto rifiuto. E’ abituata a dare la vita ogni giorno. Vede il volto di Gesù nei http://www.donboscoland.it/articoli/ridimensiona.php?nome=128763f1.jpgpiù poveri e nei sofferenti, è assetata di giustizia: “con il denaro e le piccole elemosine – diceva – non si  aiutano le persone, ma bisogna ridare loro la fiducia che sono qualcuno e sono in grado di fare qualcosa”. Hildegard – ha affermato il cardinale Christoph Schönborn - è la dimostrazione che la santità è possibile in politica:

R. – Es ist möglich, in der Politik Heilig zu werden. …

E’ possibile diventare santi in politica. Ed è una grandissima gioia il fatto che con Hildegard Burjan venga beatificata la prima donna eletta democraticamente. Determinante per essere santi è la credibilità. La credibilità che nasce dalla coerenza tra fede professata e vita vissuta: il fatto che tra quello che “si crede” e la vita vissuta ci sia una vera identità. Nulla testimonia più chiaramente la fede che la vita, l’azione convincente. E indubbiamente è stato proprio questo che ha reso Hildegard Burjan convincente. Hildegard era una donna di una fede profondissima, che viveva della sua fede, è stata una donna eccezionale, una vera cristiana.

 

D. – Hildegard ha dunque testimoniato il Vangelo con le sue opere ...

R. – Sie hat vor allem mit der Tat das Evangelium verkündet. …

Soprattutto con l’azione ha annunciato il Vangelo. Oggi si parla tanto di “nuova evangelizzazione. Molti si chiedono: cosa significa, in realtà? Credo che la beatificazione di Hildegard Burjan arrivi al momento giusto, per sottolineare proprio che il nocciolo della questione è l’azione. Hildegard è una cristiana che convince senza tante parole, perché agisce. Nella nostra epoca dobbiamo imparare di nuovo a capire cosa significhi essere discepoli. E per fare questo non abbiamo bisogno di teorie, ma di esempi, di persone che parlano con i fatti. Cosa significa essere discepoli di Gesù, oggi? Basta guardare Hildegard Burjan: ecco cosa significa essere cristiani! (gf)

Fonte:  www.radiovaticana.org - 29 gennaio 2012

 

 

Beato Giovanni Storey Laico coniugato, martire

Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, beato Giovanni Storey, martire, che, esperto di diritto, fu fedelissimo al Romano Pontefice; dopo il carcere e l’esilio, per la sua fede cattolica fu condannato a morte e, impiccato a Tyburn, migrò alle gioie della vita eterna.

 

 

2 GIUGNO

 

 

3 GIUGNO

Santa Clotilde Regina dei Franchi

Lione (Francia), ca. 474 - Tours (Francia), 3 giugno 545

Nasce intorno al 474 da Chilperico re dei Burgundi. Orfana, andrà sposa a Clodoveo re dei Franchi, popolo di origine germanica che si sta espandendo in Gallia. Accetta il figlio di Clodoveo, Teodorico, avuto da una concubina, ma si preoccupa per la loro diversa fede: lei è cristiana, il re è pagano. Nato il primo figlio, Ingomero, Clotilde ottiene che sia battezzato, ma il piccolo muore subito. La serenità torna con la nascita del secondo, battezzato col nome di Clodomiro. Seguono Childeberto, Clotario e una bambina, Clotilde. La regina riesce poi a convincere Clodoveo a farsi cristiano: lo battezzerà Remigio di Laon, vescovo di Reims. La sua però suona come una mossa politica: a Clodoveo serve l'aiuto della Chiesa. Ma le lotte tra i figli di Clotilde e del re scoppiano alla morte di Clodoveo. Per sanare la guerra fratricida la regina si affida con la preghiera a san Martino di Tours. E morirà nel 545 proprio nella città del vescovo santo. (Avvenire)

Etimologia: Clotilde = illustre in battaglia, dall'antico franco

Martirologio Romano: A Tours nella Gallia lugdunense, ora in Francia, santa Clotilde, regina, le cui preghiere indussero suo marito Clodoveo, re dei Franchi, ad accogliere la fede di Cristo; dopo la morte del coniuge, si ritirò presso la basilica di san Martino, per non essere più ritenuta una regina, ma una vera serva del Signore.

 

Clotilde nacque a Lione intorno al 475, quasi in coincidenza con la scomparsa dell’impero romano in Occidente (476). Anche la Gallia romana si era andata disgregando mediante la costituzione di vari regni indipendenti da parte di popoli cosiddetti barbari, non di rado rivali tra loro. Con la nascita ella era già principessa, in quanto figlia del re Childerico I, capo dei burgundi, un gruppo germanico orientale arrivato prima sulla sinistra del Reno e poi sul medio Rodano. Nella sua vita ci sarà tuttavia l’avversa sorte di una dolorosa serie di tragedie e di assassini regali, tra i quali trovò salvezza con una grande fede in Cristo Gesù.

Nel 481 le venne ucciso il padre e allora lei, con la madre e la sorella maggiore Croma, si ritirò a Ginevra. Insieme si diedero ad una vita di preghiera e poi di assistenza ai bisognosi. Secondo alcuni racconti la giovane andò soggetta anche a persecuzioni ed alla perdita della madre per assassinio, finché, tramite gli ambasciatori, venne chiesta in sposa da Clodoveo, il giovane re dei Franchi, altro popolo germanico che si era stanziato in territori a nord della Senna.

Clodoveo, che diventerà il capostipite dei Merovingi, era un uomo pagano, piuttosto rude ed irreligioso. Diede tuttavia il permesso alla moglie di battezzare ognuno dei cinque figli, alcuni dei quali si sarebbero però macchiati di delitti o di disastrosi contrasti per ragioni di potere, specialmente dopo la morte del padre. Con l’aiuto e la protezione del vescovo di Reims, il futuro San Remigio, Clotilde andava anche iniziando una lenta ma profonda opera di seduzione morale nei riguardi del marito.

Un vero prodigio avvenne nel 496, quando Clodoveo si trovò costretto ad attaccare battaglia contro i suoi nemici Alamanni nei pressi di Colonia. Temendo il peggio, egli invocò il Dio della moglie e ne uscì vittorioso. Allora promise la conversione alla fede cattolica e la notte di Natale di quell’anno si fece battezzare a Reims dal vescovo stesso. Quasi tutti i sudditi lo imitarono. Fu tale atto un successo della regina Clotilde, cosi importante da fare della Francia la “primogenita della Chiesa”. Dopo quella conversione Clodoveo si fece amico di molti vescovi, estendendo il proprio potere su buona parte della Francia, che poco dopo avrà per capitale Parigi.

A Clotilde si deve pure la sostituzione dei tre rospi con tre gigli nello scudo della monarchia francese, dopo che ella ne ricevette uno coi gigli in dono da parte di un misterioso eremita della foresta di Saint-Germain-en-Laye.

Rimasta vedova dopo vent’anni di matrimonio, la regina di Francia andò incontro a molte altre struggenti prove dinastiche, finché si ritirò a Tours, presso la tomba di San Martino (315 ca.-397), di cui era particolarmente devota. In quella regione fondò chiese e monasteri, dandosi a penitenza e ad opere di carità.

A Tours Clotilde morì il 3 giugno 545. In tempi successivi da quella città sarà portata come una santa virtuosa e coraggiosa al sepolcro di Parigi, accanto al corpi di Clodoveo e di Santa Genoveffa (422 ca.-502 ca.), patrona della capitale. I suoi resti mortali furono poi cremati nel 1793 per evitarne la profanazione rivoluzionaria. Ora riposano in una basilica a lei dedicata e costruita tra il 1846 e il 1856, dove il 3 giugno di ogni anno la santa viene solennemente commemorata.

Autore: Mario Benatti

 

Beata Beatrice Bicchieri Domenicana

+ Vercelli, 1320

Beatrice si sposò con Gioachino De Ivachi. Rimasta vedova si fece domenicana nel 1270, seguendo la sorella maggiore (Emilia). Fondò un altro convento di domenicane in Vercelli, che governò con saggezza e umiltà. Fu celebre per la vita di preghiera e penitenza che condusse fino alla morte, avvenuta a Vercelli nel 1320. Alla sua morte, a voce di popolo, fu riconosciuta beata. Era ricordata il 3 giugno.

 

San Pietro Dong Martire

Martirologio Romano: Nella città di Âu Thi nel Tonchino, ora Viet Nam, san Pietro Ðông martire, che, padre di famiglia, preferì subire crudeli supplizi piuttosto che calpestare la croce e, dopo essersi fatto incidere sul volto le parole ‘vera religione’ anziché ‘falsa religione’, fu decapitato sotto l’imperatore T? Ð?c.

 

 

4 GIUGNO

 

 

5 GIUGNO

Beato Adamo Arakava Laico giapponese, martire

Arima, Giappone, ca. 1551 – Shiki, Giappone, 5 giugno 1614

Laico della diocesi giapponese di Funai, coniugato, catechista, Adamo Arakava subì il martirio nella sua patria nel contesto di feroci ondate persecutorie contro i cristiani. In seguito ad un rapido processo iniziato con il Nulla Osta della Santa Sede concesso in data 2 settembre 1994, è stato riconosciuto il suo martirio il 1° luglio 2007 ed è stato beatificato il 24 novembre 2008, sotto il pontificato di Papa Benedetto XVI, unitamente ad altri 187 martiri giapponesi.

Etimologia: Adamo = nato dalla terra, dall'ebraico

 

Santi Domenico Toai e Domenico Huyen Martiri

Martirologio Romano: Nella città di Tang Gia sempre nel Tonchino, santi Domenico To?i e Domenico Huyên, martiri, che, padri di famiglia e pescatori, benché sottoposti al tempo dell’imperatore T? Ð?c a vari generi di tortura durante la loro lunga prigionia, con grande forza d’animo esortarono i compagni di carcere a conservare la fede, concludendo poi sul rogo il proprio martirio.

 

 

6 GIUGNO

San Gilberto Eremita ed abate in Alvernia

Neuffonts, Alvernia, 6 giugno 1152

Etimologia: Gilberto = nobile ostaggio, dardo brillante, dal tedesco

Martirologio Romano: A Clermont-Ferrand in Aquitania, in Francia, san Gilberto, abate dell’Ordine Premostratense, che, dapprima eremita, costruì poi il monastero e l’ospedale di Neuffonts.

 

S. Gilberto era un nobile di Alvernia in Aquitania e prese parte alla crociata, bandita da papa Eugenio III e organizzata dal re Luigi VII nel 1146.

La spedizione ebbe un esito infelice e Gilberto ritornò al suo paese natale nel 1149, dove insieme alla moglie Petronilla e sua figlia Ponzia, decise di abbracciare la vita religiosa.

Era una scelta di vita, che in quei tempi varie coppie molto cristiane di comune accordo facevano. Pertanto fondarono un monastero femminile ad Aubeterre, di cui Petronilla divenne badessa e alla sua morte le successe Ponzia.

Gilberto invece, dopo aver vissuto per un certo tempo come eremita a Neuffonts in Alvernia, edificò un monastero maschile e poi un ospedale, dove si dedicò alla cura degli ammalati.

Nel 1151 Gilberto entrò nel monastero di Dilo dei Premostratensi, Ordine fondato da s. Norberto nel 1121 e dopo un poco fece ritorno a Neuffonts con molti monaci che lo elessero loro abate.

Morì a Neuffonts il 6 giugno del 1152; dopo la sua morte, avvennero parecchi miracoli, ottenuti per sua intercessione. Nel 1615 parte delle sue reliquie furono portate nel collegio dei Premostratensi a Parigi; è venerato a Neuffonts e ad Aubeterre, la sua festa in queste zone era celebrata il 24 ottobre; il ‘Martyrologium Romanum’ lo celebra il 6 giugno.

Autore: Antonio Borrelli

 

Santi Artemio e Candida Sposi e martiri

http://images-02.delcampe-static.net/img_large/auction/000/312/243/250_001.jpg Martirologio Romano: A Roma al secondo miglio della via Aurelia, santi Artemio e Paolina, martiri.

 

La santa martire Paolina è citata in molte fonti agiografiche antiche, insieme ai genitori Artemio e Candida.

Questi martiri vengono commemorati al 6 giugno nel ‘Martirologio Romano’, sulla base della ‘Passio ss. Petri et Marcellini’ che racconta: Artemio era il custode del carcere romano dove erano prigionieri i due cristiani poi martiri Pietro e Marcellino ed aveva una figlia posseduta dal demonio, Paolina.

Pietro gli promise la liberazione della figlia se si fosse convertito al cristianesimo, Artemio si rifiutò, considerando il santo martire come un pazzo. Ma in seguito ad un miracolo si ricredette e si convertì insieme alla moglie Candida e alla figlia Paolina che fu guarita.

Denunciato come cristiano al tribunale del giudice Sereno, Artemio fu condannato a morte insieme alle sue congiunte, condotti sulla via Aurelia, le due donne Candida e Paolina (ovviamente è anch'essa venerata come santa martire) furono gettate da un lucernario e poi sepolte sotto una massa di pietre, mentre Artemio venne ucciso con la spada. Di loro si dice che Artemio e Paolina erano sepolti presso la basilica di San Pancrazio sulla via Aurelia e Candida era sepolta in una chiesa della via Portuense.

Autore: Antonio Borrelli

 

 

7 GIUGNO

Santi Geremia e altri Martiri a Cordova

m. Cordova, 7 giugno 851

Martirologio Romano: A Córdova nell’Andalusia in Spagna, santi martiri Pietro, sacerdote, Valabonso, diacono, Sabiniano, Vistremondo, Abenzio e Geremia, monaci, che durante la persecuzione dei Mori morirono sgozzati per Cristo.

 

E' un gruppo di sei martiri, uccisi contemporaneamente e nelle stesse circostanze; essi sono Pietro, Walabonso, Sabiniano, Wistremondo, Abenzio e Geremia.

Pietro sacerdote, era nato ad Astigi (odierna Ecija) nella provincia di Siviglia; Walabonso diacono, ancora molto giovane, era nato ad Elepha (odierna Niebla) nella provincia di Huelva, il padre era cristiano, la madre era una convertita dall’islamismo.

Insieme ai genitori ed alla sorella Maria, che morirà martire cinque mesi dopo di lui, venne a Cordova stabilendosi nel paese di Froniano, dove Walabonso venne educato sotto la guida dell’abate del monastero di S. Felice.

Divenuto diacono, esercitò il suo ministero insieme al sacerdote Pietro e sotto la direzione dell’abate Frugelo, cappellano del monastero femminile di S. Maria di Cuteclara, dove era diventata monaca sua sorella Maria.

Sabiniano e Wistremondo erano nati a Froniano e ambedue erano monaci del monastero di S. Zoilo di Armilata, posto tra i monti di Cordova. Abenzio cordovese, era diventato monaco più maturo di anni, nel monastero di S. Cristoforo, conducendo una vita come recluso, in grande austerità e penitenza.

Geremia anche lui di Cordova, ormai anziano, aveva fondato il monastero doppio, cioè ala maschile e ala femminile, di Tábanos, dove si ritirò insieme alla moglie Elisabetta e altri familiari; era zio di s. Isacco e cognato di s. Colomba, anche loro martiri.

La vicenda del loro martirio si svolse durante l’occupazione musulmana a Cordova, centro del califfato ommiade (756-1091); i sei compagni si presentarono al giudice rinfacciandogli la morte di Isacco e Sancio da poco martirizzati; offesero Maometto e quindi vennero subito condannati alla decapitazione, il solo Geremia fu barbaramente flagellato prima dell’esecuzione, che avvenne per tutti e sei, il 7 giugno 851.

I loro corpi, prima esposti al pubblico oltraggio, vennero bruciati dopo qualche giorno e le ceneri furono disperse nel fiume Guadalquivir.

Festa celebrativa per tutti al 7 giugno.

 

San Godescalco Re dei Vendi, martire

Schwerin Propsteikirche St. Anna Glasfenster 2014-05-23 2-2.jpg + Lenzen, 7 giugno 1066

Figlio del duca Udo o Utone, che ancora nei primi anni dell'imperatore Corrado II governava gli Obodriti e i Vagri, Godescalco venne educato sin dalla nascita nella religione cristiana, dapprima in famiglia, quindi nel monastero di S. Michele a Liineburg. Alla morte del padre, assassinato per mano di un sassone, il quale voleva vendicarsi della tirannia e della crudeltà di Udo, qualificato peraltro dal cronista Adamo di Brema come male christianus, Godescalco, sacrificando la sua fede alla vendetta, abiurò al Cristianesimo e, postosi alla testa della sua gente, si unì ad altri principi pagani per andare contro i Sassoni. Combatté a lungo contro di essi portando nella loro terra distruzioni e morte, finché, cedendo al rimorso per tanti dolori e rovine arrecati si arrese al duca di Sassonia Bernardo II, il quale, dopo averlo tenuto prigioniero per qualche tempo, lo spedì in Danimarca. Postosi quivi al servizio del re Canuto II il Grande, andò con lui a combattere in Inghilterra (ca. 1030), dove si comportò da valoroso, facendosi ammirare anche per le sue ottime qualità, sì da conquistare tutta la stima e la considerazione del re, di cui sposò in seguito la pronipote Syritha.

Dopo la morte di Canuto (1035) e di suo figlio Harold Hanfoot (1040), Godescalco tornò nella terra natale e, messo su un esercito con la sua gente, intraprese la conquista delle altre popolazioni slave (Obodriti, Pòlabi, Vagri, Liutizi, ecc.), che ben presto sottomise tutte al suo dominio, facendosi in pari tempo riconoscere come loro signore anche da gran parte dei Sassoni. Con le sue conquiste Godescalco riuscì a formare nel 1043 un vasto e ben organizzato regno, per cui non ci fu allora tra gli slavi sovrano più potente di lui, come lasciò scritto il succitato Adamo di Brema.

Ritornato nuovamente al Cristianesimo sin dal tempo della sua prima dimora in Danimarca, Godescalco favorì grandemente l'evangelizzazione del popolo, facendo costruire nei suoi domini molte chiese e ordinare sacerdoti, adoperandosi sempre senza posa per la conversione dei suoi sudditi ancora idolatri. Per conservare poi tra loro il fervore della fede cristiana, fondò i vescovati di Oldenburg, di Mecklenburg e di Ratzenburg, istituì numerosi monasteri in varie altre città ed inviò fin nelle più lontane regioni del suo vasto stato (corrispondenti alle odierne Pomerania e Holstein) schiere di missionari, tra i quali si distinse per zelo apostolico Giovanni lo Scozzese, che da solo battezzò migliaia di pagani. Con questi missionari viaggiava sovente lo stesso Godesalco, facendo talvolta anche da interprete durante la loro predicazione.

Uno zelo cosi ardente in favore della diffusione della religione cristiana non poteva ottenere miglior premio della corona del martirio, che Godescalco, il pio re, cinse infatti il 7 giug. 1066, allorché cadde vittima di una violenta reazione pagana (interfectus est a paganis) e fu ucciso in odio alla fede cattolica a Lenzen sull'Elba, mentre si trovava in chiesa. Con lui subirono la stessa gloriosa sorte il sacerdote Ebbone (o Eppone), che fu addirittura trucidato sull'altare e molti altri ecclesiastici e laici. Venerato subito come santo, Godescalco ebbe culto pubblico in moltissime chiese dell'Europa settentrionale; se ne celebra la festa il 7 giugno, giorno commemorativo del suo martirio.

Autore: Niccolò Del Re          Fonte:Enciclopedia dei Santi

 

 

8 GIUGNO

 

 

9 GIUGNO

http://biscobreak.altervista.org/wp-content/uploads/2013/06/1Anna-Maria-Taigi.jpgBeata Anna Maria Taigi Madre di famiglia, terziaria trinitaria

 Siena, 29 maggio 1769 - Roma, 9 giugno 1837

Sposa esemplare e devota della Santissima Trinità. Sono le due caratteristiche di Anna Maria Taigi, nata Anna Maria Giannetti a Siena nel 1769 e vissuta a Roma dall'età di sei anni alla morte, avvenuta nel 1837. Per aiutare i genitori bisognosi si dedicò a diversi lavori. Ancor giovane si sposò con Domenico Taigi, uomo dal carattere molto difficile. Mandò avanti la casa, dando un'educazione cristiana ai figli. La coppia ne ebbe sette (tre morirono, però, in tenera età). E non si dimenticava dei poveri. Tanto che un mistico fiammingo disse di lei che non disdegnava di lasciare le visioni ultraterrene per scaldare la minestra a un malato. Nel 1808 abbracciò l'Ordine secolare trinitario. Tra i doni miracolosi che ebbe c'era un sole luminoso che per 47 anni le brillò davanti agli occhi. Vi vedeva quanto accadeva nel mondo e la situazione in cui si trovavano le anime di vivi e morti. Anna Maria è stata beatificata nel 1920 e il suo corpo riposa in una cappella della chiesa romana di San Crisogono. (Avvenire)

Etimologia: Anna = grazia, la benefica, dall'ebraico

Martirologio Romano: A Roma, beata Anna Maria Taigi, madre di famiglia, che, pur maltrattata da un marito violento, continuò a prendersi cura di lui e a provvedere all’educazione dei suoi sette figli, senza mai trascurare la sollecitudine spirituale e materiale per i poveri e gli ammalati.

 

«I sacerdoti secolari, i religiosi e le religiose votati alla vita attiva, ma anche alla vita interiore, partecipano allo stesso potere che le anime del chiostro hanno sul cuore di Dio. Ne sono esempi magnifici un padre Chevier, un don Bosco e […] la beata Anna Maria Taigi che, nelle sue funzioni di povera massaia, era un’apostola come lo era s. Benedetto Giuseppe Labre che schivava le vie battute». È uno dei passaggi della celebre opera «L’anima di ogni apostolato» (1907), dell’abate Jean-Baptiste Chautard (1858-1935), dedicati ad Anna Maria Giannetti Taigi (1769-1837), laica trinitaria e madre di sette figli, della quale ricorre oggi la festa liturgica.

La beata Taigi, che era nata a Siena ma visse la maggior parte della sua vita a Roma, da semplice madre di famiglia e domestica della famiglia Chigi, ricevette secondo quanto riportato dal celebre Abate trappista nella sua più importante opera, «livre de chevet» di decine di santi fra i quali Pio X, «singolari doni soprannaturali di sapienza, discernimento spirituale e di profezia, soprattutto sui gravi problemi religiosi e politici del tempo. A lei ricorsero vescovi, cardinali, papi e uomini di Stato per ricevere consigli».

https://i.ytimg.com/vi/jpu5uof8HOM/maxresdefault.jpg Beatificata da Benedetto XV nel 1920, Anna Maria Taigi fu terziaria dell’Ordine della Santissima Trinità e, sotto la direzione spirituale di monsignor Raffaele Natali, allora segretario del maestro di camera di papa Pio VII (1800-1823), condusse una vita umile e di austera penitenza. Il prelato marchigiano visse ospite della beata Taigi per circa venti anni e, quindi, fu testimone oculare di numerosi fatti straordinari che ne intesserono la vita. Nell'archivio della Chiesa di San Carlo a Roma, tenuta dai Padri trinitari, sono conservati alcuni volumi che lo stesso Natali scrisse, in parte durante la permanenza in casa della Beata, in parte dopo la sua morte. Nel 2005 una studiosa appartenente al laicato trinitario, Giovanna Cossu Merendino, ha raccolto questi scritti in un ponderoso volume intitolato «Le misericordie di Dio verso le sue creature: beata Anna Maria Giannetti Taigi» (Tipografia Vaticana, Città del Vaticano 2005, pp. 572). Nell’introduzione rileva come «nel nostro tempo di crisi di valori, di divorzi, di aborti, di sperimentazioni su embrioni umani, di unioni irregolari, la figura di questa donna appare quanto mai attuale; la fedeltà, la forza con cui visse la sua non facile condizione familiare, rappresenta un esempio prezioso, un richiamo ai valori della famiglia, all’amore per le piccole cose, all’amore di Dio». Non a caso il convegno che l’Associazione San Giovanni de Matha dei laici trinitari d’Italia ha tenuto l’anno scorso a Roma, è stato proprio dedicato al tema «Le radici spirituali e culturali della crisi economica in atto». Nella sua relazione la Cossu ha rilevato che, della carità che riceveva, la beata Taigi tratteneva soltanto l’indispensabile per le necessità della famiglia, perché «il resto lo distribuisce tra chi è più povero di lei e si umilia a chiedere lei stessa l’elemosina vedendo che non sono sufficienti le sue risorse per soccorrere i bisognosi». A 20 anni Anna Maria Giannetti aveva sposato Domenico Taigi, un servitore della famiglia Chigi, dal cui matrimonio nacquero ben sette figli.

Per far sì che la figura e l'opera della Beata siano conosciute e servire d’esempio per i laici e le madri di famiglia di oggi, la Cossu sottolinea anche che, questa straordinaria laica vissuta nella Roma dell’Ottocento, sia «la prima donna popolana che ha raggiunto la perfezione cristiana nella vita matrimoniale; prima di lei molte donne hanno avuto gli onori degli altari, ma non erano sposate, oppure erano vedove o religiose, regine o principesse. […] il marito della Beata guadagna appena 6 paoli al mese, ma la povertà non è un ostacolo per la loro felicità, perché non sono soli, il loro matrimonio è composto di tre persone: c’è Gesù con loro» (Giovanna Cossu Merendino, «La carità della Beata Anna Maria Giannetti Taigi e il suo impegno in campo sociale», relazione al convegno «Le radici spirituali e culturali della crisi economica in atto; la dimensione e la rilevanza sociale della nuova evangelizzazione alla luce della lettera apostolica Evangelii Gaudium», Roma 10 - 13 ottobre 2014, pp. 1-2).

Autore: Giuseppe Brienza            Fonte: Vatican Insider

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La beata Anna Maria Taigi nacque a Siena il 29 maggio 1769 e fu battezzata il giorno seguente. In seguito a dissesti finanziari i suoi genitori, Luigi Giannetti e Maria Masi, si trasferirono a Roma, quando lei aveva sei anni.

https://magnificat.ca/cal/en/saints/images/blessed_anna_maria_taigi.jpg Nella città eterna venne affidata alle suore Maestre Pie Filippine, dove in due anni ricevette una completa formazione.

Per aiutare i genitori bisognosi, si dedicò a lavori diversi, anche più umili.

Ancor giovane si sposò con Domenico Taigi, uomo pio ma di un carattere difficile e grossolano. Anna Maria vi passò sopra, e badò principalmente alla virtù. Così per 49 anni, lei finissima nel tratto, ebbe l'opportunità di esercitare continuamente la pazienza e la carità.

Il matrimonio fu improntato ai più elevati principi cristiani. Conoscendone tutto il profondo valore etico-sociale, e considerandolo semplicemente come un'altissima missione ricevuta dal cielo, la Beata trasformò la sua casa in un vero santuario, dove Iddio aveva il primo posto. Docile al marito, evitava quanto poteva irritarlo e turbare la pace domestica. Sobria e laboriosa, non fece mancare mai nulla alla famiglia e, nel limite delle sue possibilità, fu larga con i poveri.

Ebbe sette figli dei quali tre morirono in tenera età: due maschi e due femmine diventarono adulti. Impartì loro un'educazione civile e religiosa accuratissima e completa.

Fin da bambina imparò a corrispondere alla grazia e cominciò a vivere una vita spirituale intensa. Aveva un solo desiderio: amare Dio e servirlo in tutto; una sola preoccupazione: evitare anche l'ombra di una qualsiasi imperfezione volontaria. Fu devotissima alla SS.ma Trinità, di Gesù Sacramento e della Passione del Signore; per la Madonna ebbe una tenerissima devozione.

Abbracciato l'Ordine Secolare Trinitario il 26 dicembre 1808, ne visse perfettamente lo spirito, e divenne serva fervida e adoratrice della SS.ma Trinità. Iddio l'arricchì di molti doni carismatici; singolare fra tutti, quello di un sole luminoso, che per 47 anni brillò davanti al suo sguardo, e nel quale vedeva quanto accadeva nel mondo e lo stato delle anime in vita e in morte.

Volò al paradiso il 9 giugno 1837; fu beatificata il 30 maggio 1920. Il suo corpo si conserva a Roma, nella Basilica di S. Crisogono nella Cappella a lei dedicata.

Autore: Carmelo Randello

 

Anna Maria Taigi, beatificata nel 1920 da Papa Benedetto XV, fu una donna dotata da Dio di straordinari carismi, tra i quali spicca quello della profezia. Dopo un’infanzia difficile, si sposò nel 1789 ed ebbe 7 figli, di cui solo 4 sopravvissero. La conversione arrivò poco più tardi del suo matrimonio, e Dio le fece dono di un sole con all’interno una corona di spine, che la accompagnò per 47 anni.

In questo sole Anna Maria vedeva il male ed il bene, il presente ed il futuro, l’anima più intima delle persone. Cominciò ad esternare le sue profezie riguardo uomini e donne che non aveva mai conosciuto dal vivo, ma di cui osservava il futuro nel suo sole. Nessuna delle sue previsioni si dimostrò infondata, e previde con largo anticipo eventi quali la data e l’ora della sua morte, la sconfitta di Napoleone in Russia, la presa dell’Algeria da parte dell’esercito francese, la libertà per gli schiavi americani, le cadute e le ascese di intere nazioni europee, le epidemie, vari flagelli naturali, la morte di Napoleone a Sant’Elena, la nomina a Papa di Giovanni Mastai Ferretti, quel Pio IX che ai tempi non era nemmeno Cardinale.

Autore:  PAOLO TESCIONE

 

Santa Madrun Vedova

 Secondo le genealogie gallesi, Madrun era figlia del re Vortimer e moglie di Ynyr Gwent, capo del Monmouthshire orientale. Oltre al fatto che ella diede al marito quattro figli, tutto ciò che di lei si sa con qualche sicurezza è che accolse nel Galles s. Tathan (Tathaeus) missionario irlandese.

La leggenda narra che durante una visita a suo fratello, il re Vortigerno, ella fu costretta a fuggire su una collina vicina mentre Vortigerno veniva ucciso in un assalto alla sua fortezza.

Viene considerata la santa patrona di Trwfynydd nel Merionethshire dove la sua festa era celebrata il 9 giugno; potrebbe però anche trattarsi di s. Materiana emigrata in Cornovaglia nel 450 ca. Con Brican e la sua famiglia.

Il santo patrono della parrocchia di Madrun in Cornovaglia, tuttavia, non è la nostra Madrun, ma Madron (Madernus).

Autore: Edward I. Watkin             Fonte: Enciclopedia dei Santi

 

 

10 GIUGNO

Beato Enrico da Bolzano Laico, venerato a Treviso

1250-1315

 Enrico era nato a Bolzano verso il 1250 e fu un povero operaio. A un certo punto si trasferì a Treviso con la moglie e il figlio e, dopo la loro morte, visse in una stanzetta messagli a disposizione da un notaio. A Bolzano e a Treviso fu ammirato come assiduo frequentatore di chiese (a Treviso ogni giorno visitava tutte le chiese della città) e ascoltatore di Messe. Molto ammirata fu la sua vita di penitente: dormiva su un duro giaciglio, portava un ruvido saio, praticava lunghe veglie in preghiera. Quando si spense, solo nella sua cela, il popolo disse che era morto un santo. I funerali richiamarono tantissima gente e furono accompagnati da prodigi. E per lungo tempo ci furono pellegrinaggi che condussero dalle città vicine migliaia di persone all'arca del poverello, collocata nel Duomo di Treviso. Una commissione vescovile registrò trecentoquarantasei presunti miracoli, ascoltando testimoni oculari. Uno di questi era il suo biografo, Pier Domenico di Baone, che fu più tardi vescovo di Treviso. Una sua reliquia nel 1759 fu portata nel Duomo di Bolzano. (Avv.)

Etimologia: Enrico = possente in patria, dal tedesco

Martirologio Romano: A Treviso, beato Enrico da Bolzano, che, boscaiolo e analfabeta, distribuiva tutto ai poveri e, per quanto indebolito nel fisico, mendicava tuttavia saltuarie elemosine che spartiva con gli altri mendicanti.

 

Nato a Bolzano verso il 1250, condusse la dura vita del povero operaio. In epoca non precisata si trasferì a Treviso con la moglie e il figlio, e, dopo la loro morte, visse in un oscuro bugigattolo messogli a disposizione da un notaio. Negli ultimi anni si ridusse in estrema povertà, accettando l'elemosina. A Bolzano come a Treviso fu ammirato come assiduo frequentatore di chiese (a Treviso soleva visitare tutte le chiese della città ogni giorno) e avido ascoltatore di Messe. Più ammirata ancora fu la sua vita di penitente: dormiva su un duro giaciglio, portava un ruvido saio, praticava lunghe veglie in preghiera. Quando si spense, tutto solo nella sua cela, i trevisani dissero che era morto un santo. I funerali videro un concorso immenso di popolo e furono accompagnati da strepitosi prodigi. Seguirono per oltre un anno pellegrinaggi che condussero dalle città vicine migliaia di persone all'arca del poverello, collocata nel duomo di Treviso sopra un altare. Una commissione vescovile registrò in poco tempo trecentoquarantasei miracoli, per lo più guarigioni, su deposizione di testimoni oculari. Uno di questi fu il biografo di Enrico, Pier Domenico di Baone, che fu più tardi vescovo di Treviso. Ricognizioni delle reliquie si ebbero nel 1381 e nel 1712; una reliquia insigne nel 1759 fu portata a Bolzano ed è venerata nel duomo. In queste diocesi sorsero alcune chiese a lui dedicate. Il culto del beato fu approvato da Benedetto XIV, per la diocesi di Treviso, e da Pio VII, per quella di Trento.

Autore: Igino Rogger           Fonte: Enciclopedia dei Santi

 

San Getulio Martire

Emblema: Palma

Il nome Getulio è di origine etnica e significa “appartenente ai Getulli”, antica tribù del Nord Africa.

San Getulio fu martirizzato insieme ai Santi Amanzio, Cereale e Primitivo ed è considerato un protomartire dei Sabini. Getulio secondo la leggenda sarebbe nato nella città di Gabio in Sabina, che si trovava nei pressi di Cures e fu distrutta dai popoli barbari. San Getulio fu chiamato anche Getulio “gabiese” dal luogo di nascita, e non lontano da qui subì il martirio (secondo quando riferisce la “Passio”) sotto l’imperatore Adriano (76-138 d.C.).

http://images.delcampe.com/img_large/auction/000/075/977/799_001.jpg Proprio la “Passio” così ci racconta il Martirio: “fu legato da un palo (insieme al fratello Amanzio, e con i compagni Primitivo e Cereale) e fu fatto bruciare. Le fiamme però non lo toccarono, e i suoi carnefici lo uccisero a colpi di bastone fracassandogli il capo, decapitandolo poi”. Secondo il M.R. invece: “A Roma, sulla via Salaria, la passione del beato Getulio, uomo chiarissimo e dottissimo, padre dei sette fratelli Martiri, avuti dalla santa sua moglie Sinforosa; e dei suoi Compagni Cereale, Amanzio e Primitivo. Tutti questi, per ordine dell'Imperatore Adriano, presi da Licinio Consolare, prima furono flagellati, quindi chiusi in prigione, finalmente gettati al fuoco, ma per nulla offesi dalle fiamme, spezzato loro il capo con bastoni, compirono il martirio. I loro corpi furono raccolti da Sinforosa, moglie del beato Getulio, ed onorevolmente sepolti nell'arenario del suo podere”.

Il Martirologo di Adone così riporta: “consumati sunt beati Martyres Gethulii in fundo Capriolis, viam Salariam, ab urbe Romam, plus minus miliario decimotertio, supra flumium Tiberim, in partem Savinensium”, e così altri Martirologi. Gli antichi codici citano dunque con minuziosa precisione il luogo del martirio, che sarebbe chiamato “Capris”. Santa Sinforosa dunque raccolse le spoglie del martire Getulio, e le seppellì nel suo fondo di “Capris in Sabina”, nel corso superiore del fiume Tevere.

Questo territorio nel Medioevo prese il nome di “Corte di San Getulio”, perché qui in suo onore fu innalzata una chiesa dove per molto tempo furono custodite le spoglie del Martire. Nell’867 per evitare che i Saraceni profanassero il corpo di San Getulio nell’omonima corte, l’abate Pietro di Farfa lo traslocò all’interno del monastero farfense, con una solenne cerimonia ed una grande partecipazione di fedeli, come del resto avveniva in ogni traslazione di reliquie.

Il territorio della corte di San Getulio, oggi detto di Villa Caprola fu concesso agli abitanti di Montopoli dall’abate farfense Nicolò II (1387-1390). Da allora questo territorio è sempre appartenuto a Montopoli, ed ancora oggi fa parte del comune di questo paese sabino.

I resti del Santo si trovano oggi a Roma, all’altare maggiore della chiesa di Sant’Angelo in Pescheria. Le reliquie di San Getulio, insieme a quelle di Santa Sinforosa ed i 7 figli, furono rinvenute proprio a Sant’Angelo in Pescheria da Pio IV (1560-1565) che le fece esporre alla venerazione dei fedeli in una urna di vetro.

Nel 1584 parte delle loro reliquie, tra queste il capo di Getulio, furono donate da Gregorio XIII ai Gesuiti, oggi sono in una cappella presso Villa d’Este. Altre vennero portate nei collegi gesuiti dell’India e della Spagna (25 giugno 1572), altre ancora in alcune chiese di Roma. Per frenare questa emorragia, il 26 settembre 1587 il governatore di Roma Mariano Perbenedetti le fece chiudere nel sarcofago di marmo, oggi posto all’altare maggiore. Nello stesso sarcofago vennero collocati anche i resti dei santi Ciro e Giovanni.

 

 

11 GIUGNO

Beata Iolanda di Polonia Badessa

Ungheria, 1235 – Gniezno, Polonia, 11 giugno 1298

Principessa, figlia del re Bela IV d'Ungheria e nipote di Santa Elisabetta d'Ungheria, nacque nel 1235.

Ricevette la sua formazione cristiana dalla sorella maggiore, Santa Kinga (Cunegonda). Unita in matrimonio al duca polacco Bodeslaus, principe di Kalishi in Pomerania. Terziaria francescana, unì ai doveri di sposa e madre, l'esercizio della carità nell'assistenza agli infermi e ai poveri. Nel 1279 rimase  vedova e successivamente entrò nelle Clarisse del convento di Sandeck ove si distinse per la sua profonda umiltà. Resse come badessa il convento di Gniezno in Polonia. Morì nel 1298.

Fu beatificata nel 1827.

Etimologia: Iolanda = viola, dal greco

Martirologio Romano: Presso Gniezno in Polonia, beata Iolanda, badessa, che, dopo la morte del marito, il duca Boleslao il Pio, lasciati i beni terreni, professò insieme alla figlia la vita monastica nell’Ordine di Santa Chiara.

 

La beata principessa Iolanda, figlia del re Bela IV di Ungheria, nacque nel 1235. Le sue due sorelle, decisamente più famose, furono Santa Margherita d'Ungheria, canonizzata nel 1943 da Pio XII, e Santa Kinga (Cunegonda), canonizzata da Giovanni Paolo II nel 1999. Loro zia fu Santa Elisabetta d'Ungheria, langravia di Turingia e terziaria francescana. Terziario era del resto anche il padre, Bela IV. La sua famiglia affondava le radici nella santità di Sant'Edvige e dei santi sovrani ungheresi Stefano e Ladislao.

Ancora in tenera età Iolanda venne affidata alla sorella Cunegonda dalla quale ricevette la sua formazione cristiana. Cunegonda aveva sposato il re polacco Boleslao il Casto, degno dunque in tutto della sua sposa. Anche Iolanda, una volta cresciuta, trovò marito nel paese adottivo. Si trattava del duca di Kalisz Boleslao il Pio, non indegno quindi del cognato.

Iolanda, principessa ungherese cresciuta in Boemia e sposata con un nobile polacco, fu così amata al punto di poter tranquillamente considerare la Polonia quale sua nuova patria.

Si fece anch'essa terziaria francescana ed unì ai doveri di sposa e madre l'esercizio della carità, concretizzandolo nell'assistenza ai poveri ed agli infermi. Il regno veramente esemplare di Boleslao il Casto, di sua moglie Santa Kinga e dei cognati Beata Iolanda e Boleslao il Pio, non ebbe purtroppo una lunga durata. Le due sorelle rimasero entrambe vedove molto presto, prima Cunegonda e poi nel 1279 anche Iolanda. Quest'ultima, che aveva avuto tre figlie, riuscì a combinare dei felici matrimoni per due di esse, mentre la terza, attratta dalla vita religiosa, si ritirò presso il modesto convento delle clarisse di Sandeck, dove si era già ritirata la zia vedova. In seguito la raggiunse anche la madre Iolanda, distinguendosi per la sua profonda umiltà.

Il silenzio del chiostro nascose così per molti anni le virtù delle tre donne, eccezionali non solo per le loro nobili origini, ma soprattutto per la fedeltà alla loro vocazione. Nel 1292, quando Cunegonda morì, Iolanda lasciò quel monastero e si rifugiò più ad occidente nel convento delle clarisse di Gniezno, onde sfuggire alle incursioni barbariche. Qui fu eletta badessa, forse come sorta di ringraziamento al defunto marito che aveva fondato tale monastero.

Prima che si chiudesse questo secolo caratterizzato dalla mistica, nel 1299 Iolanda morì nell'umiltà che l'aveva sempre contraddistinta.

La devozione per la Beata Iolanda è sopravvissuta prevalentemente in Polonia, dove aveva trascorso gran parte del suo pellegrinaggio terreno. Il suo nome è stato curiosamente alterato dal popolo polacco in Elena oppure talvolta Iolenta.

Nel 1631 fu iniziato il processo per la beatificazione; il 22 settemmbre 1827 Leone XII ne confermò il culto e permise all'Ordine dei Frati Minori Conventuali e alle Clarisse di celebrare l'Ufficio e la Messa il 15 giugno; Leone XIII ne estese la festa a tutte le altre diocesi della Polonia.

Autore: Fabio Arduino

 

 

12 GIUGNO

 

 

13 GIUGNO

Beata Marianna Biernacka Martire

 Magnifico esempio di santità! Potrebbe essere proposta come protettrice delle nuore o delle suocere!

Lipsk, 1888 - Niemowicze, Grodno (Polonia), 13 luglio 1943

Nel giorno della festa di sant'Antonio da Padova [il mio santo tra le altre cose!!!], figura tra le più care alla devozione cristiana, il calendario liturgico cita anche una figura del nostro tempo. Si tratta di Marianna Biernacka (1888-1943), una dei 108 martiri polacchi del nazismo che Giovanni Paolo II ha beatificato il 13 giugno 1999, durante uno dei suoi viaggi in Polonia. La sua è una vicenda che proprio la recente tappa di Benedetto XVI ad Auschwitz-Birkenau ha riportato d'attualità. La storia di questa donna, infatti, è molto simile a quella del francescano Massimiliano Kolbe, anche lui canonizzato da Wojtila. A Naumowicze, presso Grodno, questa vedova nata ortodossa e passata poi al cattolicesimo all'età di 17 anni, si offrì al plotone di esecuzione tedesco per essere fucilata al posto di sua nuora, che era incinta. Con questo gesto d'amore la cinquantacinquenne Marianna salvò così due vite dalla barbarie della guerra. Marianna Biernacka è la figura di spicco tra i nove laici compresi nell'elenco di questi martiri. (Avvenire)

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Nella cittadina di Naumowicze vicino a Grodno in Polonia, beata Marianna Biernacka, madre di famiglia e martire, che, durante la guerra, in regime di occupazione, si offrì spontaneamente ai soldati al posto di sua nuora incinta e, fucilata sul posto, ricevette la palma gloriosa del martirio.

 

Papa Giovanni Paolo II, ha proclamati beati il 13 giugno 1999 a Varsavia, durante il suo settimo viaggio apostolico in Polonia, 108 martiri vittime della persecuzione contro la Chiesa polacca, scaturita durante l’occupazione tedesca dal 1939 al 1945.

L’odio razziale operato dal nazismo, provocò più di cinque milioni di vittime tra la popolazione civile polacca, fra cui molti religiosi, sacerdoti, vescovi e laici cattolici.

Fra i tanti si è potuto, in base alle notizie raccolte ed alle testimonianze, istruire vari processi per la beatificazione di 108 martiri, il primo processo fu aperto il 26 gennaio 1992 dal vescovo di Wloclaweck, dove il maggior numero delle vittime subì il martirio; in questo processo confluirono poi altri e il numero dei Servi di Dio, inizialmente di 92 arrivò man mano a 108.

Diamo qualche notizia numerica di essi, non potendo riportare in questa scheda tutti i 108 nomi. Il numeroso gruppo di martiri è composto da quattro gruppi principali, distinti secondo gli stati di vita: vescovi, clero diocesano, famiglie religiose maschili e femminili e laici; appartennero a 18 diocesi, all’Ordinariato Militare e a 22 Famiglie religiose.

Tre sono vescovi, 52 sono sacerdoti diocesani, 3 seminaristi, 26 sacerdoti religiosi, 7 fratelli professi, 8 religiose, 9 laici. Subirono torture, maltrattamenti, imprigionati, quasi tutti finirono i loro giorni nei campi di concentramento, tristemente famosi di Dachau, Auschwitz, Sutthof, Ravensbrück, Sachsenhausen; subirono a seconda dei casi, la camera a gas, la decapitazione, la fucilazione, l’impiccagione o massacrati di botte dalle guardie dei campi.

 

Capogruppo dei 9 laici è la beata Marianna Biernacka della diocesi di Lomza in Polonia, nacque nel 1888 a Lipsk, in una famiglia di cristiani ortodossi. A 17 anni nel 1905, insieme ai suoi familiari, passò fra i cattolici di rito latino.

All’età di 20 anni si sposò con il rito cattolico con Ludwik Biernacki; dal matrimonio nacquero sei figli.  Dopo la morte del marito coabitò con il figlio Stanislao e con sua moglie, condividendo la sua vita con la giovane coppia, dimostrando saggezza cristiana e amore fraterno verso di essi e i loro figli.

Tra la gente del suo paese era conosciuta per la sua benevolenza e profonda religiosità. Quando Lipsk il 1° luglio 1943, fu colpita da una rappresaglia tedesca e sconvolta da arresti di massa, anche la giovane nuora incinta di un altro figlio fu arrestata; allora si fece avanti Marianna e si propose al posto della nuora per salvare lei e la vita del nascituro.

Fu un nobile slancio d’amore di una semplice donna di 55 anni, che offrì la sua vita per altri, come già fece s. Massimiliano Maria Kolbe (1894-1941) frate conventuale, nel campo di Auschwitz.

Lo scambio fu accettato e gli arrestati furono tradotti in carcere, da lì fu spostata a Naumowicz presso Grodno (attualmente in Bielorussia) e fucilata il 13 luglio 1943.

E la Chiesa ha voluto affiancare ai tanti suoi figli consacrati, vittime in Polonia della barbarie nazista, anche questa umile donna, che a pari loro, riconoscendo Gesù nei fratelli, mise in pratica il detto evangelico “Chi perderà la propria vita per me, la salverà”.

Autore: Antonio Borrelli

 

San Smbat il Confessore Generale armeno

http://images.delcampe.com/img_large/auction/000/112/330/657_001.jpg + 855 circa

Il Sinassario di Ter Israyel commemora il 7 margac' (13 giu.) il generale (sparapet) Smbat Bagratuni, padre del re Asot I. Nella notizia si riferisce che al tempo dell'invasione dell'Armenia da parte del governatore Bula (Bugha al-Kabir), Smbat si consegnò a lui seguendo così la sorte di altri naxarar (nobili) armeni che, incatenati, furono condotti a Samarra (nel testo genericamente «Babilonia») per essere deferiti al califfo. Davanti a lui molti di loro, per aver salva la vita, preferirono rinnegare la religione cristiana; non così fecero Stefano detto Kon, principe del borgo di Tus nella provincia di Uteac'ik', che scelse il martirio, e lo stesso Smbat, il quale, avendo più volte proclamato la propria fede in Cristo, morì dopo una lunga prigionia. La notizia termina riferendo che alcuni cristiani del posto, ottenuta l'autorizzazione del califfo, trasportarono il suo corpo nella vecchia Babilonia, e lo seppellirono nella cappella che era stata costruita sopra la fossa del profeta Daniele.

Nello stesso Sinassario, il nome di Smbat ricorre altre due volte, unito al ricordo delle 250 vittime della per-secuzione di Bula: in una breve menzione al giorno 25 meheki (3 mar.) comprendente anche i «Secondi Atomiani», nonché al successivo 26 meheki (4 mar.) in una notizia più diffusa, analoga a quella del 13 giu.

In linea generale, quanto riferito nel Sinassario trova riscontro nelle pagine degli storici armeni sia contemporanei che successivi: Giovanni Kat'otìkos (sec. DO, ad esempio, dedica all'elogio del martirio di Smbat il cap. 14 della sua Storia d'Armenia, mentre Kirakos Ganjakec'i, nel XIII secolo, attesta l'epiteto di «Confessore» (Xostovanol) che ha seguito nel tempo il nome del santo. Sempre al XIII secolo risale la testimonianza di Tommaso Arcruni (cf. M. Brosset, Collection d'historiens arméniens, I, San Pietroburgo 1874, 166-167), secondo la quale Smbat non subì un'esecuzione ma, pur restando, come sembra, in carcere, ebbe salva la vita: il «martirio» nominato nelle fonti sarebbe dunque da intendersi come la lunga serie di patimenti uniti alla prigionia, che furono causa della sua morte.

Fonte: Bibliotheca Sanctorum Orientalium

 

 

14 GIUGNO

http://genealogiabermudezdecastro.es/.cm4all/iproc.php/Retrato%20Constanza%20de%20Castro%20(Camilo%20D%C3%ADaz%20Bali%C3%B1o).jpeg/scalecrop_500_500/Beata Costanza de Castro Terziaria francescana

 XIII secolo

Nata a Vivairo (Lugo, Spagna) dalla nobile famiglia dei conti di Lemos, la de Castro sposò il valoroso capitano Rodrigo Diaz de Andrade che morì eroicamente nelle guerre contro Granada, combattendo per il re s. Ferdinando III, probabilmente tra il 1245 e il 1248. Rimasta vedova, prese l'abito del Terz'Ordine francescano e, dopo una vita trascorsa nella preghiera e negli altri esercizi di pietà, morì in data ignota. Il corpo, sepolto nella sua cappella gentilizia della Croce nel convento francescano di Vivero, già esistente nel 1258, nel 1611 fu trovato integro.

All'intercessione della de Castro si attribuirono alcuni miracoli, sui quali fu espresso un giudizio favorevole da coloro che li avevano esaminati per mandato del vescovo di Mondonedo, Pietro Fernàndez Zorrilla (1616-18): il Wadding venne in possesso di una copia di questo rapporto. Il Martirologio Francescano ricorda la beata il 14 giugno, fissandone arbitrariamente la data di morte al 1286.

Autore: Isidoro da Villapadierna        Fonte:Enciclopedia dei Santi

 

 

15 GIUGNO

Santa Barbara Cui Lianzhi Martire

m. 1900

Madre di famiglia morta a causa di crudelissime torture durante le persecuzioni in Cina.

Martirologio Romano: Presso la città di Liushuitao nel territorio di Qianshengzhuang nella provincia dello Hebei in Cina, santa Barbara Cui Lianzhi, martire, che, essendole già stato ucciso il figlio, cercò di notte scampo nella fuga, ma catturata dai nemici dei cristiani morì tra crudelissime torture.

 

 

16 GIUGNO

Santa Giulitta (o Giuditta) Martire

 Durante la persecuzione di Diocleziano ad Iconio, città della Licaonia (oggi in Turchia) si trovava Giulitta, donna ricca e nobile, la quale era rimasta vedova con un figlio in tenera età, Quirico. Lasciata la sua città e i suoi averi, per sfuggire alla persecuzione, scese con le sue ancelle verso la Seleucia. Ritenne però prudente proseguire per Tarso, nella Cilicia, dove fu raggiunta e fatta arrestare col suo bambino dal governatore romano Alessandro, con l'accusa di essere cristiana. Sottoposta a lunghi interrogatori per farla abiurare, rifiutandosi di sacrificare agli dei, confessò la sua fede. Una leggenda narra che Alessandro teneva il fanciullo sulle sue ginocchia. Quirico, vista la madre sofferente e sentite le sue parole, si disse anch'egli cristiano e morì scaraventato a terra dal governatore. La madre, pur impietrita dal dolore, restò ferma nella fede. Poi, dopo strazianti torture, fu consegnata al boia per essere decapitata. un altro racconto, però, dice che i due furono arsi vivi ma che i loro corpi, miracolosamente si mantennero intatti. Il martirio del più giovane martire cristiano con la madre si colloca intorno al 304. (Avvenire)

Etimologia: Giulitta = appartenente alla 'gens Julia', illustre famiglia romana, dal latino

Emblema: Palma

Martirologio Romano: In Asia Minore, commemorazione dei santi Quirico e Giulitta, martiri.

 

Giulitta, nativa di Cesarea e di Cappadocia, consumò in questi luoghi il martirio verso il 307.

Gli imperatori Diocleziano e Massimiano avevano pubblicato un editto con il quale si negava ai Cristiani qualunque tutela della legge. Un farabutto di Cesarea ne approfittava, usurpando a Giulitta gran parte del suo patrimonio. Questa istituì causa formale contro l’usurpatore; ma l’accorto uomo protestò che essa non poteva agire legalmente perché cristiana, e che la legge non permetteva alcuna azione legale a chiunque rifiutava l’adorazione degli dèi dell’impero.

Il giudice in conformità agli editti dichiarava naturalmente che Giulitta avrebbe usufruita la protezione della legge unicamente sacrificando agli dèi. Ma Giulitta, per rimanere fedele alla sua fede, si dichiarò disposta e decisa a rinunziare a tutto, anche all’onore e alla vita.

A questa forte professione di fede, il giudice le negò subito qualunque procedimento nella causa. Anzi, come cristiana, le fece le interrogazioni di uso ai martiri citati nei tribunali.

Giulitta, con calma e tranquillità, rispose di essere serva di Gesù Cristo Dio, al quale non avrebbe mai rinunciato. Fu allora condannata alla confisca di tutti i suoi beni e ad essere bruciata viva.

La grave sentenza non intimorì l’eroica Martire, ma si vide in quel momento trasparire dal suo volto tutta la felicità di cui era inondato il suo cuore. Giulitta mostrava a tutti che, con l’aiuto di Dio, una debole donna poteva divenire più forte di qualsiasi supplizio.

Intanto fuori della città era stato acceso un gran rogo dove la Martire doveva essere gettata, e Giulitta andò ad esso come una sposa al banchetto nuziale. La folla dei curiosi era là attorno alla catasta per godere del lugubre spettacolo, ma Dio la volle far testimone di un meraviglioso prodigio: appena Giulitta venne buttata sul fuoco, la sua anima volò a Gesù e il suo corpo, protetto da una arcata di fiamme, rimase illeso e intatto.

Fu seppellita nel vestibolo del tempio della città e vicino alla sua tomba sgorgò prodigiosamente una fontana d’acqua dolce e salutare per gli ammalati.

S. Basilio dice che la Martire ripeté la grazia che il profeta Eliseo fece a quelli di Gerico, mutando con la sua benedizione in acqua dolce e gradita quella che era inquinata.

Autore: Antonio Galuzzi

 

 

17 GIUGNO

San Nicandro Martire

La persecuzione ordinata dell'imperatore Diocleziano arrivò nel 304 anche a Venafro, cittadina dell'attuale Molise. Tra l'anfiteatro romano e il tempio pagano della dea Bona "sulle cui fondamenta sorge oggi la Cattedrale di Santa Maria Assunta in cielo" vivevano due ufficiali dell'esercito romano: Nicandro e Marciano. Le antiche fonti storiche non si pronunciano sulla loro provenienza (forse nativi della Grecia), ma riferiscono come i due aderirono alla fede cristiana e rifiutarono di compiere rituali alle divinità pagane. Nel consumarsi del loro martirio si intreccia una significativa vicenda familiare: Daria, moglie di Nicandro, convertita anch'essa al cristianesimo, spronò lo sposo a non abiurare la fede. Questo costò anche a lei il martirio. I loro corpi furono seppelliti nei pressi di Venafro, dove già nel 313 fu eretta la Basilica cimiteriale a loro dedicata. Nel 1930 furono rinvenuti i loro sepolcri. La tradizione plurisecolare li acclama patroni delle città e delle diocesi (ora unificate) di Isernia-Venafro. (Avv.)

Martirologio Romano: A Silistra in Mesia, nell’odierna Bulgaria, santi martiri Nicandro e Marciano, che, soldati, durante la persecuzione di Diocleziano, respinsero l’elargizione fatta dall’imperatore all’esercito e, rifiutatisi fermamente di sacrificare agli dèi, furono condannati a morte dal governatore Massimo.

 

La celebre persecuzione ordinata dell’imperatore Diocleziano arrivò nel 304 anche a Venafro, ridente cittadina dell’attuale Molise, dapprima insediamento preistorico e poi Prefettura e Colonia romana. Tra l’anfiteatro romano - conservato fin ai giorni nostri - e il tempio pagano della dea Bona - sulle cui fondamenta sorge oggi la Cattedrale di Santa Maria Assunta in cielo - vivevano due ufficiali dell’esercito romano: Nicandro e Marciano.

Le antiche fonti storiche non si pronunciano sulla loro provenienza (forse nativi della Grecia) ne tanto meno sulla loro parentela (fratelli?), ma riferiscono per certo come i due aderirono alla Fede cristiana e rifiutarono di compiere atto di culto alle divinità pagane. Nel consumarsi del loro martirio si intreccia una meravigliosa vicenda familiare: Daria, moglie di Nicandro, convertita anch’essa al cristianesimo, interverrà a spronare lo sposo incitandolo a non abiurare la Fede. Questo costerà anche a lei il martirio, che avrà luogo in un secondo momento rispetto a Nicandro e Marciano. I loro corpi furono seppelliti nei pressi di Venafro, ove già nel 313 sorgerà la Basilica cimiteriale a loro dedicata. Nel 1930 furono rinvenuti i loro sepolcri, da dove miracolosamente si rinnova il prodigio della “santa manna”, un liquido misterioso che scaturisce in circostanze liturgiche particolari.

La tradizione plurisecolare li acclama “ad immemorabili” patroni delle città e delle Diocesi (ora unificate) di Isernia-Venafro e il loro culto è attestato anche oggi dalla fede viva che accompagna le antichissime tradizioni manifestate in modo del tutto singolare nei loro festeggiamenti. Questi costituiscono un unico nel loro genere, per le tante sfumature antropologiche e religiose espresse con fare di altri tempi… Il 16 giugno, a mezzanotte, la popolazione venafrana bussa insistente alla porta della basilica, affidata dal 1573 ai padri Cappuccini. All’apertura della porta del convento e al proclama dell’apertura dei festeggiamenti, si fonda una banda musicale fatta di strumenti semplicissimi (“bandarella”) che suonerà per tutta la notte nelle vie della città. Ma è la sera del 16 che i festeggiamenti entrano nel vivo: all’imbrunire il busto argenteo di San Nicandro (l’originale fu rubato nel 1986) e le altre Reliquie dei Ss. Martiri vengono portate processionalmente dalla monumentale chiesa della SS. Annunziata - ove sono conservate tutto l’anno - alla Basilica. Il giorno successivo, festa liturgica, accorrono in pellegrinaggio dal circondario numerosi fedeli e intere parrocchie; si rinnova il dono da parte del sindaco di ceri votivi, e la consegna al Vescovo delle chiavi della città, a simboleggiare il patrocinio di san Nicandro su Venafro. L’evento più atteso però è quello del 18 giugno sera, quando uno stuolo immenso di popolazione, accorsa anche da lontano ad ammirare il suggestivo spettacolo, riaccompagna i Santi alla Chiesa dell’Annunziata percorrendo un tragitto processionale di circa cinque ore. È qui che si dà sfogo a tutta la propria devozione, cantando ripetutamente l’antico Inno Popolare, sacro a generazioni e generazioni di venafrani. Un tripudio di suoni e di colori commuoventi… Periodicamente si svolge anche “l’Opera di San Nicandro”, una rappresentazione teatrale che narra gli eventi e il martirio dei santi Venafrani.

Nel 2003 la Diocesi di Isernia-Venafro ha celebrato solennemente i 1700 anni dal martirio di questi Patroni.

Frutto di questo avvenimento è stata la pubblicazione di un pregevole volume (AA.VV., NICANDRO, MARCIANO E DARIA, Conoscere e venerare i Patroni di Venafro a 1700 anni dal loro martirio, ed.VITMAR, Venafro 2003) che tratta scientificamente la storiografia e le tradizioni sui santi Martiri venafrani.

Oltre l’antica e nota testimonianza del Martirologio romano, che al 17 giugno recita: «Presso Venafro, in Campania, i Ss. Martiri Nicandro e Marciano, sono decapitati durante la persecuzione di Massimiano», si possono così avere numerose ratifiche da documenti come il “Museo Italico” del Mabillon, il “Breviarium Syrriacum”, e dagli studi dei Padri bollandisti. Oltre al luogo del loro martirio il loro culto è affermato a Sannicandro Garganico (FG) e a Tremensuoli frazione di Minturno (LT) ove si venerano come patroni e a Ravenna e L’Aquila ove sorgono chiese a loro dedicate.

Autore: Don Francesco Ferro, Venafro

 

Beata Teresa del Portogallo Regina di Castiglia, cistercense

Coimbra, Portogallo, 1181 – Lorvão, Portogallo, 18 giugno 1250

La beata Teresa del Portogallo, al secolo principessa Teresa Sanches de Portugal, era figlia di Sancio I, secondo sovrano portoghese. Suoi nonni paterni furono Mafalda di Savoia, figlia del conte Amedeo III, ed Alfonso I Henriques, primo re del Portogallo. Le due beate Mafalda e Sancha furono sue sorelle. Teresa nacque nella città portoghese di Coimbra nel 1181 e sposò il suo consanguineo Alfonso IX, re di Castiglia e Léon, al quale diede tre figli: Sancha, Dulce e Fernando. Nel 1196 tale matrimonio fu dichiarato nullo per «impedimentum affinitatis» e quattro anni dopo Teresa si ritirò nel convento benedettino di Lorvao, che lei stessa aveva precedentemente fondato, e dopo averlo trasformato poi in abbazia cistercense nel 1229 prese il velo religioso. Alla morte del padre Sancio I nel 1211, sorsero alcune diatribe dinastiche. Risolto il conflitto familiare, però, Teresa poté trascorrere il resto dei suoi giorni con circa trecento consorelle nel monastero portoghese di Lorvao, ove morì il 18 giugno 1250. Venne sepolta a Lorvao, accanto a sua sorella Sancia, che lei stessa aveva fatto traslare. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Ourem in Portogallo, santa Teresa, che, regina di León e madre di tre figli, dopo la morte del marito, condusse vita monastica sotto la disciplina cistercense nel monastero da lei stessa fondato.

 

La Beata Teresa del Portogallo, al secolo principessa Teresa Sanches de Portugal, è forse la meno famosa tra le sante che portano il bel nome di Teresa, seppur sia talvolta citata come Tarasia o Tareja. Esponente della numerosa prole di Sancio I, secondo sovrano portoghese, suoi nonni paterni furono Mafalda di Savoia, figlia del conte Amedeo III, ed Alfonso I Henriques, primo re del Portogallo. Sono dunque sorelle di Sancia le beate Mafalda (2 maggio), badessa di Arouca, e Sancha (11 aprile), monaca cistercense, caso non unico nel vasto panorama di santità fiorito alle corti europee: sono infatti venerate come sante anche le tre sorelle principesse ungheresi Margherita, Kinga e Iolanda.

Teresa nacque nella città portoghese di Coimbra nel 1181 e sposò il suo consanguineo Alfonso IX, re di Castiglia e Léon, al quale diede tre figli: Sancha, Dulce e Fernando. Nel 1196 tale matrimonio fu dichiarato nullo per “impedimentum affinitatis” e quattro anni dopo Teresa si ritirò allora nel convento benedettino di Lorvao, che lei stessa aveva precedentemente fondato, e dopo averlo trasformato poi in abbazia cistercense nel 1229 prese il velo religioso.

Alla morte del padre Sancio I nel 1211, l’infanta Teresa avrebbe dovuto ereditare, secondo le disposizioni testamentarie di quest’ultimo, il castello di Montemor-o-Velho e tutto ciò che concerneva tale possedimento, compreso addirittura il titolo di “regina” in quanto signora di tale castello. Il nuovo sovrano Alfonso II, suo fratello, volendo accentrare nelle sue mani tutto il potere, non accettò dunque tale testamento ed impedì a Teresa di prendere possesso dei suoi titoli e dei redditi a lei spettanti, così come alle altre due infante sue sorelle Mafalda e Sancia.

Alla morte dell’ex marito nel 1230, Teresa favorì il passaggio della corona a San Ferdinando III, una dei cinque figli avuti da Alfonso IX da un secondo matrimonio con Berengaria, figlia di Alfonso VIII di Castiglia, incentivando così la pace tra i regni di Castiglia e di Léon.

Risolte le diatribe dinastiche, Teresa potè dunuqe trascorrere il resto dei suoi giorni con circa trecento consorelle nel monastero portoghese di Lorvão, ove morì il 18 giugno 1250. Le sue spoglie mortali furono ivi collocate accanto a quelle di sua sorella Teresa, che ella stessa vi aveva fatto traslare. Il 13 dicembre 1705 Teresa venne beatificata dal pontefice Clemente XI con la bolla “Sollicitudo Pastoralis Offici”, unitamente alla sorella Sancia. Il Martyrologium Romanum, nonché il calendario dell’ordine cistercense, commemorano la beata Teresa in data 17 giugno.

Autore: Fabio Arduino

 

 

18 GIUGNO

San Potentino e familiari Eremiti

Secondo una ‘Vita’ leggendaria composta nel IX secolo, Simplicio, Felicio suo fratello e Potentino suo padre, erano originari dell’Aquitania.

Partiti per un pellegrinaggio ai Luoghi Santi, che allora era veramente un’impresa che necessitava di una grande fede, al ritorno si diressero a Treviri dal vescovo Massimino, anch’egli originario della Gallia romana che li mandò nella località di Karden (sulla Mosella), dove era stato eremita il prete s. Castore e lì vissero in preghiera e solitudine fino alla loro morte.

Altro non si sa, le loro reliquie prima del 930 furono trasferite a Steifeld (nella Eifel) dove s. Potentino fu scelto come patrono, questa traslazione delle reliquie era ricordata il 3 giugno.

Il 12 agosto 1908, papa s. Pio X confermava il culto ‘ab immemorabili’ della diocesi di Colonia dei santi Potentino, Felicio e Simplicio padre e figli, pellegrini ed eremiti, stabilendo la data di celebrazione al 18 giugno. (Archivio Storico Vaticano, n. 4519).

Autore: Antonio Borrelli

 

 

19 GIUGNO

Sant'Abgar V Ukama (il Nero) Re di Edessa

 Oggi addirittura un Re che ebbe contatti epistolari con Gesù stesso (mi sono documentato ed ha un figlio che gli successe al trono per cui desumo che sia stato sposato...). Forse è una leggenda, ma certamente una bella storia...

I secolo

Re di Edessa nell'Osroene dal 4 a. C. al 7 d. C. e, nuovamente, dal 13 al 50 d.C. Intorno a lui fiorì la leg¬genda di una sua corrispondenza epistolare con Gesù. La prima notizia ci è data da Eusebio (Hist. eccl., I, 13, 5), che dice di aver notato negli archivi della corte reale di Edessa il testo siriaco di tale corrispondenza, di cui anche dà la fedele traduzione greca. Il re, avendo udito delle virtù miracolose di Gesù, gli scrive di recarsi da lui per guarirlo da una malattia incurabile, forse la lebbra. Gesù gli risponde che gli è impossibile lasciare la Palestina, ma che dopo l'Ascensione uno dei suoi discepoli sarà inviato a Edessa e lo guarirà. E la narrazione continua dicendo come realmente Taddeo, uno dei settanta discepoli, giunge a Edessa, ridona la salute al re e evangelizza la città.

Lo stesso episodio è narrato anche nella Dottrina di Addai, scritto apocrifo del sec. IV-V, solo che qui Gesù risponde oralmente al corriere che gli consegna la lettera di Abgar. In compenso questo corriere è un valente ritrattista e coglie l'occasione per tramandarci il volto di Gesù nella famosa Immagine Edessena. Questo racconto, specie per quel che riguarda la corrispondenza epistolare tra Abgar e Gesù, suscitò forti riserve fin dall'antichità, soprattutto in Occidente, e oggi è generalmente ritenuto apocrifo. Si crede possa essersi formato sotto l'impressione della conversione, del resto molto problematica, di Abgar IX, re di Edessa dal 179 al 216 d.C.

http://www.katieking.it/immagini/96/95036C%5b1%5d.jpgL'episodio ha dato un notevole lustro agiografico al re Abgar, che è talvolta decorato del titolo di santo o di beato. Così egli è potuto anche entrare, insieme con il racconto della corrispondenza con Gesù, in varie liturgie orientali, quali la sira e l'armena. Il Sinassario della Chiesa di Costantinopoli lo ricorda al 19 giugno, al 16 e al 21 agosto. Un culto meno ufficiale fu pure riservato alla lettera di Gesù, che era considerata come potente talismano contro un gran numero di mali. Se ne hanno tracce fino in Inghilterra, anche in tempi molto vicini a noi.

Autore: Giorgio Eldarov              Fonte: Enciclopedia dei Santi

 

Santi Lupo e Adleida Sposi e martiri

 Una coppia di sposi (Lupo e Adleida), genitori di Santa Grata che sembra siano stati convertiti proprio dalla figlia!

 I santi Lupo e Adleida sono personaggi leggendari identificati con i genitori di Santa Grata di Bergamo. A Lupo è attribuita la qualifica di duca di Bergamo in un'epoca in cui tale carica non esisteva perché fu istituita soltanto con la conquista longobarda e probabilmente, se si tratta di un personaggio storico, è al periodo del regno longobardo che deve essere datato; è caratteristico delle incongruenze cronologiche che improntano la sua storia che nell'iconografia egli venga raffigurato con le insegne del Doge di Venezia. Anche il nome della sposa di Lupo, Adleida, è un nome germanico e rimanda chiaramente all'epoca longobarda. La leggenda vuole invece che i due coniugi si convertissero al cristianesimo nel secolo III ad opera della figlia Grata, che costruissero varie chiese tra cui quella di S. Salvatore e che addirittura fossero martiri. La loro memoria ricorreva un tempo il 19 giugno ma oggi non compaiono più nel calendario diocesano di Bergamo.

 

Beata Michelina (Metelli Malatesta) da Pesaro

Pesaro, 1300 - 19 giugno 1356

 Nacque a Pesaro nel 1300. A dodici anni Michelina Metelli sposò uno dei Malatesta, signori di Pesaro. Nel 1320 rimase vedova e poco dopo perse l'unico figlio. Aiutata dalla beata Soriana superò la dolorosa prova e si fece terziaria francescana. Per amore di Cristo donò ai poveri tutte le sue ricchezze e si impegnò in una vita di austera penitenza e preghiera. Col beato Cecco fondò la confraternita della Santissima Annunziata per servire i poveri, assistere gli infermi e seppellire i morti. Si narra che più volte Cristo le parlò dalla Croce. In età matura andò pellegrina in Terra Santa per visitare i luoghi della vita e passione di Gesù. Morì il 19 giugno 1356. È venerata come compatrona della città e il suo corpo è custodito nel Santuario di Santa Maria delle Grazie di Pesaro. (Avv.)

Etimologia: Michelina (come Michele) = chi come Dio?, dall'ebraico

Martirologio Romano: A Pesaro, beata Michelina, vedova, che donò tutti i suoi beni ai poveri e, vestito l’abito del Terz’Ordine di San Francesco, mendicando il pane condusse una vita umile e disciplinata dall’osservanza.

 

Nacque a Pesaro nel 1300. A dodici anni sposò uno dei Malatesta, signori di Pesaro. Nel 1320 rimase vedeva e poco dopo perse l'unico figlio. Aiutata dalla beata Soriana superò la dolorosa prova e si fece terziaria francescana. Per amore di Cristo donò ai poveri tutte le sue ricchezze e si impegnò in una vita di austera penitenza e preghiera. Col Beato Cecco fondò la confraternita della SS. Annunziata per servire i poveri, assistere gli infermi e seppellire i morti. Più volte Cristo le parlò dalla croce. In età matura andò pellegrina in Terrasanta per visitare i luoghi della passione di Gesù.

Morì il 19 giugno 1356. E' venerata come compatrona della città. Il suo corpo è custodito nel santuario di S. Maria delle Grazie di Pesaro.

Autore: Elisabetta Nardi

 

 

20 GIUGNO

Beata Margherita Ball Madre di famiglia, martire

 Grande esempio di fede e di impegno religioso e sociale! Una famiglia vera, viva, sia nella relazione coniugale che nel rapporto educativo! 

Skreen, Irlanda, 1515 circa – Dublino, Irlanda, 1584

Durante la persecuzione di Elisabetta I d'Inghilterra, ospitava nella sua casa sacerdoti e religiosi. Denunciata dal suo stesso figlio, fu incarcerata a Dublino e morì vittima di atroci tormenti.

Martirologio Romano: Nello stesso luogo (Dublino in Irlanda) commemorazione della beata Margherita Ball, martire, che, rimasta vedova, fu arrestata, su denuncia del suo stesso figlio, per avere accolto in casa molti sacerdoti ricercati e, dopo varie torture, morì settuagenaria in un giorno rimasto sconosciuto.

 

L’essere madre del sindaco di Dublino per lei non fu né fonte di prestigio né motivo di orgoglio, ma causa di enormi sofferenze che ne determinarono o sicuramente ne accelerarono la morte. La vita e il martirio dell’irlandese Beata Margherita Ball devono essere inquadrati nel clima di persecuzione religiosa che fa seguito allo scisma anglicano avviato in Inghilterra da Enrico VIII. Gli strettissimi legami socio-politici che legano l’Inghilterra all’Irlanda fanno sì che nel 1536 (cioè cinque anni dopo il famoso “atto di supremazia” con cui l’imperatore si era fatto proclamare capo supremo della chiesa d’Inghilterra e dopo appena due dalla sua scomunica e dall’interdetto lanciato contro l’Inghilterra da Papa Clemente VII) anche il parlamento di Dublino riconosca Enrico VIII unico capo della chiesa irlandese, determinando in questa maniera il definitivo strappo dalla Chiesa di Roma.

 Margherita in quel periodo è ventunenne, essendo nata nel 1515 all’interno dell’agiata famiglia Berminghan. A 16 anni si è sposata con Bartolomeo Ball e dà alla luce ben 20 figli, dei quali solo alcuni hanno la fortuna di giungere all’età adulta. Sono una coppia affiatata, profondamente religiosa, con una solida posizione economica; il marito gode di un prestigio indiscusso, che lo porta ad essere anche sindaco di Dublino. Non sono affatto allineati con la situazione politico-religiosa dominante: si sentono e si comportano da veri cattolici, continuando a riconoscere il primato del papa. Nel loro palazzo abita un cappellano, che celebra normalmente la messa, la loro casa è aperta a incontri di catechesi ed a momenti di preghiera; Margherita, facendosi forza dell’influente prestigio del marito, arriva ad aprire nella sua proprietà anche una scuola cattolica.

Bartolomeo muore nel 1568 e Margherita, oltre al dolore per la perdita della persona amata, si trova anche privata della protezione e del sostegno che egli le garantiva per professare apertamente e difendere la chiesa cattolica. Malgrado tutto prosegue nel suo impegno, dando ospitalità in casa sua a sacerdoti e religiosi anche quando ciò diventa estremamente rischioso. Nel 1570, infatti, con la scomunica di Elisabetta I che nel frattempo è salita al trono, una feroce persecuzione si scatena in Inghilterra, in particolar modo contro i sacerdoti cattolici e si estende ben presto anche in Irlanda. Verso la fine degli anni Settanta Margherita viene arrestata con l’accusa di aver fatto celebrare una messa in casa sua, ma viene ben presto liberata su cauzione. Nel frattempo, il figlio Walter sta coltivando l’ambizione di diventare sindaco di Dublino, adattandosi anche, per accedere alla carica, a rinnegare la propria fede e riconoscere la supremazia religiosa della regina d’Inghilterra. Margherita compie fino in fondo il suo dovere di mamma, cercando di far comprendere al figlio che nessuna carica politica, anche se prestigiosa, può essere barattata con la fede. Non solo non ci riesce, ma il figlio vede in lei la più acerrima nemica e il maggior ostacolo per soddisfare la sua ambizione politica.

Poco dopo la sua elezione a sindaco, infatti, fa arrestare la mamma con l’accusa di aver dato ospitalità in casa sua a sacerdoti perseguitati. Margherita è quasi settantenne e viene condotta in prigione su un carro, passando per le strade di Dublino, esposta alla derisione ed allo scherno dell’intera città. La attende una cella sporca, grondante umidità, senz’aria, che mina irrimediabilmente la sua salute. Proprio in considerazione delle sue precarie condizioni di salute, un paio di anni dopo le viene offerta la libertà in cambio di un pubblico rinnegamento della sua fede. Scontata la risposta negativa di questa donna forte e coraggiosa, che sceglie di terminare in carcere i suoi giorni, martire dell’Eucaristia e del Primato Pontificio. Muore nella sua cella nel 1584 ed insieme ad altri sedici compagni di fede (di cui 4 vescovi, 6 sacerdoti, 1 fratello religioso e cinque laici) anche lei, unica casalinga del gruppo, è stata beatificata da Giovanni Paolo II il 27 settembre 1992.

Autore: Gianpiero Pettiti

 

 

21 GIUGNO

 

 

22 GIUGNO

San Tommaso Moro Martire

 Londra, 1478 - 6 luglio 1535

Tommaso Moro è il nome italiano con cui è ricordato Thomas More (7 febbraio 1478 - 6 luglio 1535), avvocato, scrittore e uomo politico inglese. More ha coniato il termine «utopia», indicando un'immaginaria isola dotata di una società ideale, di cui descrisse il sistema politico nella sua opera più famosa, «L'Utopia», del 1516. È ricordato soprattutto per il suo rifiuto alla rivendicazione di Enrico VIII di farsi capo supremo della Chiesa d'Inghilterra, una decisione che mise fine alla sua carriera politica conducendolo alla pena capitale con l'accusa di tradimento. Nel 1935, è proclamato santo da Papa Pio XI; dal 1980 è commemorato anche nel calendario dei santi della chiesa anglicana (il 6 luglio), assieme all'amico John Fisher, vescovo di Rochester, decapitato quindici giorni prima di Moro. Nel 2000 San Tommaso Moro venne dichiarato patrono degli statisti e dei politici da Papa Giovanni Paolo II. (Avvenire)

Patronato: Avvocati

Etimologia: Tommaso = gemello, dall'ebraico

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Santi Giovanni Fisher, vescovo, e Tommaso More, martiri, che, essendosi opposti al re Enrico VIII nella controversia sul suo divorzio e sul primato del Romano Pontefice, furono rinchiusi nella Torre di Londra in Inghilterra. Giovanni Fisher, vescovo di Rochester, uomo insigne per cultura e dignità di vita, in questo giorno fu decapitato per ordine del re stesso davanti al carcere; Tommaso More, padre di famiglia di vita integerrima e gran cancelliere, per la sua fedeltà alla Chiesa cattolica il 6 luglio si unì nel martirio al venerabile presule.

 (6 luglio: A Londra in Inghilterra, passione di san Tommaso More, la cui memoria si celebra il 22 giugno insieme a quella di san Giovanni Fisher).

 

Dicono che tutti gli uccelli di Chelsea (all’epoca sobborgo rurale di Londra) scendano a sfamarsi nel suo tranquillo giardino. Un indice della sua fama di uomo sereno e accogliente. Thomas More (questo il nome inglese), figlio di magistrato, è via via avvocato famoso, amministratore di giustizia nella City, membro del Parlamento. Dalla moglie Jane Colt ha avuto tre figlie e un figlio; alla sua morte, si risposa con Alice Middleton.

Ha imparato a Oxford l’amore per i classici antichi e lo condivide con Erasmo da Rotterdam, spesso ospite in casa sua. Scrive la vita dell’umanista italiano Giovanni Pico della Mirandola; ma sarà più famoso il suo dialogo Utopia, col disegno di una società ideale, governata dalla giustizia e dalla libertà. E’ un umanista che porta il cilicio, che studia i Padri della Chiesa e vive la fede con fermezza e gioia. Quando Lutero inizia la sua lotta contro Roma, il re Enrico VIII d’Inghilterra scrive un trattato in difesa della dottrina cattolica sui sacramenti, ricevendo lodi da papa Leone X e accuse da Lutero. A queste risponde Tommaso Moro, che Enrico stima per la cultura e l’integrità. Spesso lo consulta, gli affida missioni importanti all’estero. E nel 1529 lo nomina Lord Cancelliere, al vertice dell’ordinamento giudiziario. Un posto altissimo, ma pericoloso.

Siamo infatti alla famosa crisi: Enrico ripudia Caterina d’Aragona (moglie e poi vedova di suo fratello Arturo), sposa Anna Bolena, e giunge poi a staccare da Roma la Chiesa inglese, di cui si proclama unico capo. Per Tommaso Moro, la fedeltà esige la sincerità assoluta col re: anche a costo di irritarlo, pur di non mentirgli. E così si comporta. La fede gli vieta di accettare quel divorzio e la supremazia del re nelle cose di fede. Lo pensa, lo dice, perde il posto e si lascia condannare a morte senza piegarsi.

Incoraggia i familiari che lo visitano nella prigione della Torre di Londra e scrive cose bellissime in latino a un amico italiano che vive a Londra, il mercante lucchese Antonio Bonvisi: "Amico mio, più di ogni altro fedelissimo e dilettissimo... Cristo conservi sana la tua famiglia". Bonvisi gli manda in prigione cibi, vini e un abito nuovo per il giorno dell’esecuzione (ma non glielo lasceranno indossare). Davanti al patibolo, è cordiale anche col boia che dovrà decapitarlo: "Su, amico, fatti animo; ma guarda che ho il collo piuttosto corto", e gli regala una moneta d’oro. Poi, venuto il momento, dice alcune parole. "Poche", gli hanno raccomandato: e poche sono. Tommaso Moro invita a pregare per Enrico VIII, "e dichiarò che moriva da suddito fedele al re, ma innanzitutto a Dio".

Quindici giorni prima, per le stesse ragioni, è stato decapitato il suo amico John Fisher, vescovo di Rochester, che sarà canonizzato insieme a lui da Pio XI nel 1931. Ora la Chiesa li ricorda entrambi nello stesso giorno.

http://www.tuttocollezioni.it/santini/santi-nomi/Flavio-Flaviano/slides/Xsa-59-04%20S.%20San%20FLAVIO%20CLEMENTE%20MARTIRE%20NIPOTE%20DELL%20IMPERATORE%20VESPASIANO%20Santino%20Holy%20card.jpgAutore: Domenico Agasso           Fonte:Famiglia Cristiana     

 

San Flavio Clemente Console e martire

 Nel 1725 furono ritrovate, nella chiesa di S. Clemente Papa al Laterano, alcune sue presunte reliquie. Flavio Clemente era nipote dell’imperatore Vespasiano e marito di Flavia Domitilla (omonima della santa citata nel Martirologio Romano alla data 22 giugno).

Martirologio Romano: A Roma, commemorazione di san Flavio Clemente, martire, che dall’imperatore Domiziano, di cui era stato collega nel consolato, fu ucciso con l’accusa di ateismo, ma in realtà per la sua fede in Cristo.

 

La famiglia dei Flavi, a cui appartenne Flavio Clemente, era originaria probabilmente di Rieti. Il valore, la capacità l'intraprendenza di alcuni http://www.tuttocollezioni.it/santini/santi-nomi/Flavio-Flaviano/slides/Xsa-59-05%20S.%20San%20FLAVIO%20CLEMENTE%20MARTIRE%20NIPOTE%20DELL%20IMPERATORE%20VESPASIANO%20Santino%20Holy%20card.jpgsuoi membri consentirono a questi provinciali, non appartenenti all'antica aristocrazia, il raggiungimento, a metà del sec. I, delle più alte cariche dello Stato. Flavio Vespasiano, poi, venne proclamato imperatore nel 69 iniziando la dinastia dei Flavi.

Flavio Clemente, figlio di Flavio Sabino, fratello dell'imperatore Vespasiano, poté egli pure raggiungere altissime cariche essendo stato proclamato console nel 95. Aveva sposato una parente, Flavia Domitilla, da cui ebbe sette figli, due dei quali, destinati alla successione imperiale, giacché il cugino Domiziano, succeduto a Tito nell'81, era senza prole. Le fortune della famiglia vennero però improvvisamente troncate da Domiziano. Infatti., negli ultimi anni del suo impero, divenuto quanto mai sospettoso e crudele, fece eliminare molte persone, ritenute a lui avverse. Iniziò anche una persecuzione contro i giudei e i cristiani, quantunque non si sappiano precisare esattamente i motivi addotti per la condanna di questi ultimi.

Anche Flavio Clemente venne coinvolto nella persecuzione domizianea. La grande maggioranza degli storici ritiene che egli sia caduto in disgrazia perché aveva fatto professione di Cristianesimo. Sia Svetonio, sia Dione Cassio parlano esplicitamente di condanna, ma per il motivo usano espressioni molto generiche. Il testo di Svetonio dice: «Denique Flavium Clementem patruelem suum, contemptissimae inertiae... repente ex tenuissima suspicione tantum non ipso eius consulatu interernit » (Domit., 15, 1). A sua volta Dione Cassio riferisce: «in questo anno (95) Domiziano mandò a morte con molti altri, Flavio Clemente, allora console, benché fosse suo cugino e avesse in moglie Flavia Domitilla, sua parente. Tutti e due furono condannati per il delitto di ateismo. Secondo questi capi di accusa furono condannati molti altri, che avevano seguito i costumi giudaici: alcuni furono uccisi, altri puniti con la confisca dei beni» (Historia romana, LXVII, 13-14). Come si vede nessun accenno al Cristianesimo; ma dalle fonti contemporanee sappiamo che i cristiani per la loro vita riservata erano ritenuti quasi degli ignavi (contemplissimae inertiae di Svetonio) e soprattutto furono accusati di ateismo, come attestano gli apologisti cristiani.

Può darsi che Flavio Clemente non volendo compiere un atto di culto pagano abbia dato a Domiziano il motivo per condannarlo. Nell'antichità non c'è menzione di culto; al 9 novembre il Martirologio Geronimiano elenca un Clemente che, peraltro, difficilmente può essere identificato con Flavio Clemente. Nel 1725 furono scoperte nella basilica di S. Clemente al Celio delle reliquie che furono credute quelle di Flavio Clemente.

Il Martirologio Romano ne ricorda la traslazione il 22 giugno.

Autore: Gian Dornenico Gordini           Fonte: Enciclopedia dei Santi

San Paolino di Nola Vescovo

Burdigala (Bordeaux), Francia, 355 - Nola, Napoli, 431

 Discendeva da ricca famiglia patrizia romana (nacque nel 355 a Bordeaux, dove il padre era funzionario imperiale) e favorito nella carriera politica da amicizie altolocate, divenne «consul suffectus», cioè sostituto, e governatore della Campania. Incontrò il vescovo Ambrogio di Milano e il giovane Agostino di Ippona, dai quali fu avviato alla fede cristiana. Ricevuto il battesimo verso i venticinque anni, durante un viaggio in Spagna conobbe e sposò Therasia. Dopo la morte prematura dell'unico figlioletto, Celso, entrambi si dedicarono interamente all'ascesi cristiana, sul modello di vita monacale orientale. Così, di comune accordo distribuirono le ingenti ricchezze ai poveri, e si ritirarono nella Catalogna, deve venne ordinato prete. A Nola, poi, diede inizio alla costruzione di un santuario, ma si preoccupò anzitutto di erigere un ospizio per i poveri, adattandone il primo piano a monastero, dove si ritirò con Therasia e alcuni amici. Nel 409 fu eletto vescovo di Nola. Morì a 76 anni, nel 431. (Avvenire)

Etimologia: Paolino = piccolo di statura, dal latino

Emblema: Bastone pastorale

 Martirologio Romano: San Paolino, vescovo, che, ricevuto il battesimo a Bordeaux e lasciato l’incarico di console, da nobilissimo e ricchissimo che era si fece povero e umile per Cristo e, trasferitosi a Nola in Campania presso il sepolcro di san Felice sacerdote per seguire da vicino il suo esempio di vita, condusse vita ascetica con la moglie e i compagni; divenuto vescovo, insigne per cultura e santità, aiutò i pellegrini e soccorse con amore i poveri.

"I cuori votati a Cristo respingono le Muse e sono chiusi ad Apollo", così scriveva Paolino al maestro Decimo Magno Ausonio, che lo aveva iniziato alla retorica e alla poetica. Paolino era stato un giovane dal temperamento d'artista. Discendeva da ricca famiglia patrizia romana (nacque nel 355 a Bordeaux, dove il padre era funzionario imperiale) e favorito nella carriera politica da amicizie altolocate, divenne "consul suffectus", cioè sostituto, e governatore della Campania. Ebbe anche la ventura di incontrare il vescovo Ambrogio di Milano e il giovane Agostino di Ippona, dai quali fu avviato sulla strada della conversione a Cristo. Ricevuto il battesimo verso i venticinque anni, durante un viaggio in Spagna conobbe e sposò Therasia.

Dopo la morte prematura dell'unico figlioletto, Celso, entrambi decisero di dedicarsi interamente all'ascesi cristiana, sul modello di vita monacale in voga in Oriente. Così, di comune accordo si sbarazzarono delle ingenti ricchezze che possedevano un po' ovunque, distribuendole ai poveri, e si ritirarono nella Catalogna per dare inizio ad un'originale esperienza ascetica. Paolino era ormai sulla quarantina. Conosciuto e ammirato nell'alta società, era amato ora anche dal popolo, che a gran voce chiese al vescovo di Barcellona di ordinarlo sacerdote.

Paolino accettò con la clausola di non essere incardinato tra il clero di quella regione. Declinò anche l'invito di Ambrogio, che lo voleva a Milano. Paolino accarezzava sempre l'ideale monastico di una vita devota e solitaria. Infatti si recò quasi subito in Campania, a Nola, dove la famiglia possedeva la tomba di un martire, S. Felice. Diede inizio alla costruzione di un santuario, ma si preoccupò anzitutto di erigere un ospizio per i poveri, adattandone il primo piano a monastero, dove si ritirò con Therasia e alcuni amici in "fraternitas monacha", cioè in comunità monastica.

I contatti con il mondo li manteneva attraverso la corrispondenza epistolare (ci sono pervenute 51 lettere) con amici e personalità di maggior spicco nel mondo cristiano, tra cui appunto Agostino. Per gli amici buttava giù epitalami e poesie di consolazione. Ma a porre termine a quella mistica quiete, nel 409, sopraggiunse l'elezione a vescovo di Nola. Si stavano preparando per l'Italia anni tempestosi. Genserico aveva passato il mare alla testa dei Vandali e si apprestava a mettere a sacco Roma e tutte le città della Campania. Paolino si rivelò un vero padre, preoccupato del bene spirituale e materiale di tutti. Morì a 76 anni, nel 431, un anno dopo l'amico S. Agostino.

Autore: Piero Bargellini

 

 

23 GIUGNO

Una grande santa, regina, che, sposatasi ben due volte rimase comunque vergine,, poi una grande Beata che ha avuto una statura morale enorme ed indiscussa ed infine i stanti martiri di Nicomedia, si tratta di circa 20.000 martiri che, dopo la esecuzione esemplare di Pietro di Nicomedia a cui fu strappata la carne a brandelli e poi bruciato, si presentarono spontaneamente dichiarandosi cristiani e facendosi uccidere tutti! Si tratta di tutti e tre esmpi estremamente lontani dalla nostra cultura, ma che hanno certamente segnato il nostro modo di essere cristiani!

Sant'Eteldreda di Ely Regina di Northumbria

 + Ely, Inghilterra, 679

Eteldreda (lat. Ediltrudis; ingl. Audrey), figlia di Anna, re degli Angli orientali, e sorella delle sante Sesburga, Etelburga e Withburga, nacque a Exning nel Suffolk. La sua vita Si svolse in gran parte della seconda metà del sec. VII, quando massimo era il fervore degli Angli, recentemente convertiti.

Secondo il desiderio dei genitori, ella andò sposa al principe di Cyrvii, Tonbert, col quale tuttavia visse in perpetua continenza. Tre anni dopo il matrimonio, rimasta vedova, si ritirò nell'isola di Ely, che aveva ricevuto dal marito come dono di nozze, ed ivi per cinque anni condusse vita solitaria, trascorrendo in preghiera la maggior parte del suo tempo. Richiesta in matrimonio da Egfrido, il più giovane dei figli di Oswy, re di Northumbria, cedette a condizione che il giovane marito, appena un ragazzo, si impegnasse a rispettare la sua verginità. Questi accettò, ma in prosieguo di tempo, pentitosi, chiese al santo vescovo Wilfrid di scioglierlo da quella che poteva essere stata una promessa sconsiderata. Dopo un periodo di contrasti, dietro consiglio di Wilfrid, Etelreda si ritirò nel monastero di Coldingham, dove ricevette il velo dalla zia di Egfrido, s. Ebba. Terminato il noviziato, si ritirò nuovamente a Ely, fondandovi un doppio monastero, che governò fino alla morte, avvenuta nel 679.

La sua tomba, nella cattedrale di Ely, fu meta di pellegrinaggi fino alla Riforma. La santa era particolarmente invocata per i mali di gola e del collo: le collane acquistate nei pressi del suo santuario, chiamate Tawdry (abbreviazione di St. Audry), erano portate dai sofferenti di tali mali.

Emblema: Collana, Due daine, Corona

Martirologio Romano: Nel monastero di Ely nell’Inghilterra orientale, santa Edeltrude, badessa: figlia del re e lei stessa regina di Northumbria, rifiutate per due volte le nozze, ricevette dal santo presule Vilfrido il velo monacale nel monastero da lei stessa fondato e che, divenuta madre di moltissime vergini, resse con il suo esempio e con i suoi consigli.

Sant’Eteldreda (636-679, in inglese Audrey, un nome femminile abbastanza comune) era figlia del re Anna (?-653), sovrano dell’Anglia Orientale, e sorella di altre tre sante: Etelburga (?-664), Sesburga ?-699) e Withburga (?-743): un fatto raro ma non unico nelle famiglie reali europee. Eteldreda nacque a Exning, nel Suffolk, e giovanissima fu data in sposa dai genitori al principe Tonberto di Gyrwe (?-655), che le regalò come dono di nozze una tenuta a Ely. Si era in un momento di fervore spirituale degli Angli da poco convertiti al cristianesimo, e gli sposi decisero di vivere in castità.

Tre anni dopo il matrimonio il principe morì ed Eteldreda si ritirò nella tenuta di Ely per condurre una vita di penitenza e di preghiera. Ma per ragioni politiche dovette di nuovo sposarsi, questa volta con il principe Egfrido (645-685), figlio del re della Northumbria Oswiu (612-670). Lo sposo era appena quindicenne, e accettò anch’egli la proposta di Eteldreda di vivere in castità. Dodici anni dopo chiese però di essere sciolto dalla promessa. Eteldreda rifiutò, affermando di sentirsi consacrata a Dio.

Fu chiesta la mediazione del vescovo San Wilfrid (633-709) che dichiarò gli sposi tenuti a rispettare la promessa. Ma dal momento che Egrfrido, nel frattempo diventato re, non intendeva più mantenerla, il vescovo consigliò a Eteldreda di separarsi dal marito e di entrare in convento. Divenne novizia nel monastero di Codingham e tornò quindi a Ely, dove fondò un grande convento doppio (cioè con un ramo femminile e uno maschile) di cui divenne badessa. Morì nel convento di Ely il 23 giugno 695.

Nella vita di Sant’Eteldreda vediamo uno scorcio dell’Inghilterra primitiva e l’alba del Medioevo, che ha qualcosa insieme di selvaggio e di soprannaturale, creando un contrasto di straordinaria bellezza. Intravediamo come nuovi popoli nascano propriamente alla storia.

 Non dobbiamo immaginare Sant’Eteldreda e le tre sante sue sorelle come le delicate e fragili principessine figlie di Luigi XV di Francia (1710-1774), vestite di fini sete e che nei ritratti sembrano fatte di porcellana. Queste principesse erano donne forti, abituate a tagliare il legno nella foresta, a occuparsi personalmente degli animali e a lavarsi da sole i vestiti. Ma nello stesso tempo emergevano per la loro statura morale in Paesi che stavano appena venendo alla luce. Le loro vite sono la culla di future dinastie; i loro popoli, il punto di partenza di nuove civiltà.

Questo spiega la grandezza che si percepisce nell’ambiente che circonda la vita di Sant’Eteldreda, confermato dalla presenza di tanti santi nella sua famiglia. Quattro sorelle principesse tutte riconosciute dalla Chiesa come sante e con un punto di riferimento spirituale, San Wilfrid, che è un grande vescovo ed è anch’egli un santo. Si spiega così il fatto eccezionale di due principi di sangue reale che sposano, uno dopo l’altro, Sant’Eteldreda ma s’impegnano a rispettare la sua verginità. Possiamo immaginare che, nel clima creato dalla recente conversione dei loro popoli al cristianesimo, questi principi frequentassero i sacramenti, vivessero in grazia di Dio e – nonostante le comprensibili difficoltà – non cercassero la compagnia di altre donne come avverrebbe facilmente ai nostri giorni in situazioni simili. O almeno le cronache non ci dicono nulla di diverso.

La vita di Sant’Eteldreda rappresenta un’eccezione rispetto alla normale via del matrimonio, ma ammiriamo la sua perseveranza nella verginità. Era disposta a rinunciare a tutti i privilegi che spettavano alla moglie di un re pur di conservare la verginità. E alla fine lasciò tutto per consacrarsi alla vita religiosa. Come badessa di un convento doppio aveva sotto di sé monache e anche monaci, che governò con grande saggezza, impresa non facile tra popoli giovani e di recente conversione. La sua influenza su questi religiosi certamente condusse molte anime al Paradiso.

Sant’Eteldreda è uno dei semi deposti da Dio nella storia d’Europa per far nascere il Medioevo. Raccomandiamoci alle sue preghiere mentre combattiamo e speriamo che per la gloria di Dio nasca un’altra civiltà cristiana, il Regno di Maria.

Autore: Plinio Corrêa de Oliveira     Fonte:www.cescor.org

Note: Traduzione di Massimo Introvigne

 

Beata Maria di Oignies Fondatrice delle Beghine

 Liegi, Belgio, 1177 circa - 1213

Maria d'Oignies, beghina e mistica, nacque a Liegi nel 1177 circa da famiglia benestante. All'età di 14 anni si sposò, ma in seguito decise con il marito di dedicarsi ad una vita apostolica di castità e carità, lavorando in un lebbrosario. All'età di 30 anni, nel 1207, si ritirò in una comunità di conversi, ossia di suore e fratelli laici, coordinata da un gruppo di preti, fra cui Jacques de Vitry, futuro Cardinale d'Acri in Palestina e protettore del movimento delle beghine. Maria ebbe molta influenza spirituale su Jacques, che ne scrisse la biografia e che la aiutò la fondare la sua comunità autosufficiente di beghine e begardi. Nonostante le accuse di eresia che sarebbero state mosse al movimento negli anni successivi, Maria fu sempre molto ortodossa nelle sue convinzioni, tant'è che appoggiò con entusiasmo la Crociata contro i catari del 1209. Nel 1212 si racconta che Maria avesse ricevuto le stimmate, ben 12 anni prima di San Francesco. Morì nel 1213 all’età di 36 anni.

Martirologio Romano: A Oignies sempre nell’Hainault, nel territorio dell’odierna Francia, beata Maria, che, ricca di doni mistici, con il consenso del marito, visse reclusa in una cella e poi fondò e regolamentò l’Istituto detto delle Beghine.

 

Le antiche biografie di Maria di Oignies sono fondamentali per comprendere e studiare il rinnovamento religioso dei Paesi Bassi nei secoli XII e XIII. La santa in particolare ispirò il movimento delle beghine: donne che vivevano in comunità, dirette spiritualmente da un sacerdote. Non erano suore, anche se nella maggior parte dei casi facevano voto privato di castità, e traevano sostentamento da attività lavorative senza chiedere la carità.

Maria nacque nel 1177 a Nivelles, nel Brabante, antico ducato compreso oggi nello stato del Belgio.  Apparteneva ad una famiglia benestante, era molto religiosa e appena raggiunse i quattordici anni, per distoglierla dal pensiero di farsi monaca, i genitori combinarono il matrimonio con un pio giovane di nome Giovanni. Dopo alcuni anni di felice unione matrimoniale, tra lo sconcerto dei parenti, i due bravi coniugi decisero, di comune accordo, di dare i propri beni ai poveri per ritirarsi in un lebbrosario, a Willambroux, per servire i malati. Si formò una piccola comunità la cui fama si diffuse presto, soprattutto grazie a Maria, cui molti fedeli chiedevano preghiere e consigli. Raggiunti i trent’anni, la santa, col consenso del marito e del cognato sacerdote, suo confessore, decise di ritirarsi nel monastero agostiniano di Oignies. Visse in una cella accanto al coro della chiesa facendo la sacrestana. Nel 1207 conobbe Giacomo di Vitry, un canonico di Parigi. La donna gli chiese di stabilirsi in città e di dedicarsi alla predicazione. Erano tempi complessi, la cristianità era lacerata dalle lotte contro le eresie dei catari e degli albigesi. Maria, sebbene vivesse quasi in clausura, seguiva con trepidazione questi avvenimenti. Giacomo ne divenne il direttore spirituale e trasmetteva ai numerosi devoti i suoi insegnamenti. Maria e Giacomo, penitente e confessore, erano guide uno dell’altra. La santa trascorreva molte ore, anche notturne, davanti all’Eucaristia. Un giorno ebbe la premonizione che sarebbe stata istituita la festa del Corpus Domini. Così avvenne nel 1246, nella vicina Liegi, grazie a s. Giuliana di Cornillon che ebbe legami con le "beghine" e si fece monaca proprio nel 1207.

Nel 1212 Maria di Oignies conobbe s. Folco, vescovo di Tolosa, quando gli albigesi lo cacciarono dalla sua diocesi. Il santo si rifugiò a Liegi e rimase impressionato dalla santità di vita delle beghine. In quell’anno Maria ebbe le stimmate. L’anno successivo, dopo numerose e speciali grazie, morì, all’età di circa trentasei anni. Sul letto di morte predisse che sarebbe sorto un ordine di predicatori che, per il bene della Chiesa, avrebbe contrastato le eresie. Folco di Tolosa, insieme a s. Domenico, lottò contro i catari e assistette alla fondazione dei primi monasteri domenicani.

Nel 1216, su richiesta di Folco, Giacomo scrisse la vita di Maria con un lungo prologo in cui illustrava le vicende della nascita del movimento religioso. Per ottenere l’approvazione delle beghine e dei begardi, la corrispondente comunità maschile, andò a Perugia, sede temporanea del papato. Giacomo era un predicatore illustre, teologo e storico; divenne in seguito vescovo di S. Giovanni d’Acri, in Palestina. Nel 1228 fu nominato vescovo di Frascati e poi cardinale. Si prodigò molto perché venisse conosciuta la vita della sua penitente e la santità delle beghine. Diede il suo scritto anche all’amico cardinale Ugolino, futuro papa Gregorio IX. Nel 1230-31 Tommaso Cantimprè aggiunse all’opera un supplemento. Maria si consacrò con gioia al Signore rinunciando alla vita benestante, guardando a Colui che si era incarnato per salvare l’umanità. Maria, ancella di Cristo al servizio della Chiesa, esercitò un apostolato di preghiera e penitenza per la salvezza delle anime. Nella sua vicenda interiore sono riconoscibili i sette doni dello Spirito Santo. Il timor di Dio la spingeva alla povertà e all’umiltà. Grazie al dono della pietà curava i malati nel fisico, ma era pure madre spirituale delle loro anime. Il dono della scienza le conferiva la cautela, la fortezza le ispirò l’armonia del comportamento, il dono del consiglio le dava uno straordinario equilibrio. L’intelletto la fece un’anima contemplativa. Maria fu gratificata da visioni straordinarie, ma grazie al dono della sapienza rimase umile di cuore. Gustava la soavità della liturgia, soprattutto nelle solennità, e aveva una speciale devozione per l’evangelista Giovanni. Le beghine, non avendo regole che ne definissero le caratteristiche, ebbero un appoggio informale dalla Santa Sede. Le caratteristiche inusuali del movimento, nei periodi storici più difficili e confusi, causarono accuse di eresie. Ancora oggi in Belgio e Olanda esistono alcune comunità eredi del loro carisma.

Autore: Daniele Bolognini

 

Santi Martiri di Nicomedia

Santi Quaranta Martiri di Sebaste, 320 d.C. (Holy Transfiguration Monastery, Brookline, Mass.)  Nicomedia, 303

Sono uno dei quattro gruppi di martiri dell'Ellesponto, caduti nel 303 sotto la persecuzione di Diocleziano e commemorati in altrettante date. Nicomedia era la residenza di Diocleziano, che, divenuto imperatore, oltre ad esaltare gli antichi culti romani, fu l'autore di una delle più grosse persecuzioni contro i cristiani. Il primo a subire il martirio fu san Pietro di Nicomedia, che prestava servizio nel palazzo dell'imperatore. Diocleziano volle che la punizione del cristiano, rifiutatosi di compiere le rituali offerte alle divinità di Roma, fosse un monito per tutti gli altri cristiani della sua città. A Pietro vennero strappati brandelli di carne e sulle ferite fu versato l'aceto. Pietro venne poi condannato al rogo. L'eroico comportamento del martire infuse serenità e coraggio agli altri ventimila cristiani di Nicomedia, che pochi giorni dopo diedero la loro testimonianza di fede in Cristo con la propria vita. (Avvenire)

Martirologio Romano: Commemorazione di moltissimi santi martiri di Nicomedia, che, rifugiatisi sui monti e nelle grotte al tempo dell’imperatore Diocleziano, subirono con animo sereno il martirio per la fede in Cristo.

 

La recentissima edizione del ‘Martyrologium Romanum’, riporta questo numeroso gruppo di martiri al 23 giugno, senza specificare l’esatto numero.

Le antiche notizie sono pervenute grazie ad una ‘passio’ greca, ancora inedita ma nota per una traduzione latina, pubblicata negli ‘Acta SS.’. Nel primo anno della persecuzione di Diocleziano (303) furono martirizzati a Nicomedia (attuale Izmit), capitale della Bitinia, regione dell’Asia Minore sul Mar di Marmora e dal 74 a.C. provincia romana, un gruppo di 1003 cristiani in odio alla fede.

Essi si presentarono spontaneamente all’imperatore, proclamandosi cristiani, insieme alle loro famiglie e con quanti a loro erano legati, liberi o schiavi.

Minacce e promesse di Diocleziano non li fecero recedere dalla loro volontà di testimoniare la fede in Cristo, per cui l’imperatore ordinò ai soldati di circondarli tutti e dopo un ultimo tentativo di farli apostatare, seguito da una seconda professione di fede da parte loro, li fece massacrare, uomini, donne e bambini.

La strage secondo il calendario egiziano avvenne il 24 febbraio 303, ma questa data è variamente cambiata in tutte le citazioni successive, egiziane, bizantine e dello storico Eusebio.

Nel gruppo furono inclusi anche quattro ‘protectores’ cioè guardie del corpo degli imperatori dell’epoca del Basso Impero, istituite probabilmente da Gordiano III (238-244); i quali colpiti dalla fede e dal coraggio dei martiri, si presentarono anche loro dall’imperatore, proclamandosi cristiani.

In seguito, a questi quattro ‘protectores’, venne dato un nome, confondendoli con altro gruppo non militare, martiri anche loro a Nicomedia; fu abbinato ai 1003 martiri anche un vescovo di nome Pietro, ma anch’esso fu frutto di una confusione di personaggi.

Purtroppo di questa schiera di autentici cristiani, primi martiri a Nicomedia, della persecuzione di Diocleziano, non si sanno i nomi, ma vengono ricordati e celebrati tutti insieme con il titolo di ‘Martiri di Nicomedia’.

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24 GIUGNO

San Simplicio di Autun Vescovo

Un altro Santo Vescovo sposato!

m. 375 circa

Martirologio Romano: Ad Autun nella Gallia lugdunense, ora in Francia, san Simplicio, che, di famiglia nobile e pia, visse in assoluta castità in compagnia della sua virtuosissima moglie e fu poi eletto all’episcopato.

 

 

25 GIUGNO

Sant'Eurosia di Jaca Martire

Non voleva sposarsi per consacrarsi a Dio, accettò il matrimonio solo perché le fu proposta da un papa per questioni politiche e però morì uccisa nel viaggio in cui la portavano verso il matrimonio...m. 714

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Jaca nella Spagna settentrionale, santa Eurosia, vergine e martire.

Secondo la tradizione Santa Eurosia nacque nell’anno 864 dalla nobile famiglia del duca di Boemia, il suo nome era Dobroslava il cui equivalente greco è Eurosia; rimasta quasi subito orfana di entrambi i genitori, venne accolta dal nuovo duca Boriboy e dalla sua giovane moglie Ludmilla, questi la trattarono come vera figlia e si prodigarono per il diffondersi della religione cristiana in tutta quella regione, così anche Dobroslava venne battezzata ed assunse il nome greco di Eurosia. Furono quelli anni di pace e di fede e la giovane Eurosia si distinse per bontà ed altruismo, ma purtroppo un gruppo di cechi-boeri pagani presero il potere e costrinsero la famiglia ducale all’esilio, esilio che durò ben poco grazie soprattutto all’opera del grande San Metodio, il duca e la sua famiglia poterono rientrare trionfalmente in Boemia. Nell’anno 880 San Metodio si recò a Roma da Papa Giovanni VII, questi era impegnato in un difficile caso, trovare una degna sposa per il figlio del conte spagnolo d’Aragona, Fortun Jimenez, era questi erede al trono di Aragona e Navarra impegnato nella lotta contro gli invasori arabi saraceni; Il Papa chiese aiuto a San Metodio, il quale senza dubbio alcuno indicò la giovane principessa Eurosia, quindi ritornò in Boemia con una ambasciata aragonese e raccolse l’accettazione del duca e di Santa Eurosia, la quale lasciò il proposito di dedicarsi totalmente a Cristo, vedendo nell’intervento del Papa un supremo disegno della volontà di Dio. Iniziò così il viaggio verso la Spagna, era l’anno 880, arrivati però ai Pirenei, era necessario valicarli per incontrare il suo sposo nella cittadina di Jaca, tuttavia tutta questa zona subì improvvisamente una feroce invasione di saraceni capitanati dal rinnegato Aben Lupo, questi ucciso l’ambasciatore che doveva annunziare l’arrivo di Eurosia, e saputo del matrimonio col principe aragonese, si mese in animo di catturarla e trattenerla con sé.

La comitiva con Eurosia, avvertita dell’accaduto, fu costretta a nascondersi sui monti, ma il feroce bandito saraceno riuscì a trovarli, questi cercò con buoni modi di ottenere i favori della giovane Eurosia, voleva che essa rinnegasse Gesù Cristo, rinunciasse al principe aragonese per divenire sua sposa; Eurosia però si oppose decisamente a tali diabolici progetti, provocando in tal modo l’ira del bandito che diede l’ordine di uccidere tutti. Grazie all’eroismo di alcuni ambasciatori spagnoli appartenenti alla comitiva, Eurosia riuscì a fuggire ma inseguita e raggiunta subì un tragico martirio, le vennero amputate le mani e recisi i piedi, tuttavia Santa Eurosia in ginocchio col volto fisso al cielo pregava con fierezza, nel contempo nebbie e nuvole minacciose salivano dalle valli e un lampo improvviso scese vicino ad Eurosia, senza provocarle  danni, tutti i saraceni ebbero gran paura ma il capo bandito preso da rabbia mista a terrore diede l’ordine di decapitarla, Eurosia alzando i sanguinanti moncherini al cielo chinò il capo pregando è così venne uccisa decapitata, aveva solo sedici anni. Contemporaneamente si scatenò un grandinare furibondo, uno scrosciare spaventoso di acque, folgori e tuoni assordanti, venti fortissimi, i saraceni fuggirono terrorizzati mentre da cielo una voce più potente della tempesta diceva: “Sia dato a Lei il dono di sedare le tempeste, ovunque sia invocato il suo nome!”.

Trovati miracolosamente le sue spoglie due anni dopo venne canonizzata a Jaca il 25 giugno, la sua festa ricorre ancora oggi il 25 giugno, è invocata contro le tempeste, i fulmini, le grandinate e anche per i frutti della terra. Il suo culto si diffuse in tutta la Spagna e grazie ai soldati spagnoli anche nel Nord Italia, soprattutto nelle zone collinari vinicole, da qui la spiegazione del culto di questa santa nel nostro paese.

Autore: Don Luca Roveda

 

Santi Pietro (David) e Febronia (Eufrosina) Sposi e monaci

 Una coppia di santi sposi che, in vecchiaia, si fecero monaci entrambi in due monasteri diversi, significativo che alla morte, avvenuta a pochi mesi di distanza ricongiunsero i corpi in un unico sepolcro...

+ 1228

Di questi personaggi manca una biografia e le brevi notizie che se ne possono raccogliere derivano da sinassari ruteni e da menologi russi, riportati negli “Acta Sanctorum” e da memorie slave riassunte dal Martinov.

Pietr, principe russo, nato a Murom nella Vladimiria, regione a Nord-Est di Mosca, da Giorgio Vladimiride, sposa Febronia, anch’ella di famiglia principesca. Dopo lunghi anni di vita improntata ad ascetica severità di costumi e a generosa carità, ormai vecchi, decisero di abbracciare la vita religiosa. Entrarono pertanto in due monasteri diversi, Pietro professando col nome di David, Febronia con quello di Eufrosina. Morirono ambedue nel 1228 a distanza di pochi mesi l’uno dall’altra e furono sepolti in un unico sepolcro nella cattedrale di Murom, dove furono oggetto di intensa venerazione.

Il concilio di Mosca del 1547 ne fissò la festa al 25 giugno, e, in questa data, sono iscritti nei sinassari ruteni e nei menologi russi riportati dai Bollandisti. In merito alla posizione religiosa dei due santi in ordine allo scisma, questi ultimi credono di poterli considerare estranei ad esso e perciò li hanno accolti negli “Acta Sanctorum”: “securum extimamus Sanctorum titulum ipsis concedere, atque in hoc opere locum dare”.

Autore: Benedetto Cignitti            Fonte: Enciclopedia dei Santi

 

Beata Dorotea da Montau Vedova

+ 1394

Martirologio Romano: A Marienwerder nella Prussia polacca, beata Dorotea da Montau, che, vedova, visse reclusa in una cella costruita accanto alla cattedrale, dandosi senza sosta ad una vita di orazione continua e di penitenza.

 

 Dorotea nacque il 6 febbraio 1347 in Prussia, nella cittadina di Montau, sulla Vistola. Le antiche biografie raccontano che fin da giovanissima mortificava il proprio corpo e che ricevette le stimmate invisibili, i cui dolori tenne nascosti. Andò sposa a sedici anni, nella cittadina di Danzica (Polonia), ad un maturo armaiolo, Adalberto, benestante e buon cristiano, ma dal carattere difficile. Ebbero nove figli che morirono tutti in giovane età, eccezion fatta per una che vestirà l’abito benedettino a Kulm. A lei la santa dedicherà un piccolo trattato di vita spirituale.

A trentuno anni Dorotea ebbe le prime estasi, lo stato di amore languente per il Signore. Inizialmente ricevette dal marito solo rimproveri, in seguito però si impegnarono di comune accordo alla continenza e andarono pellegrini ad Aquisgrana. Durante un successivo viaggio a Roma di Dorotea, per venerare le tombe degli apostoli, Adalberto morì (1390) e Dorotea, profondamente trasformata, si trasferì a Marienwerder. Qui incontrò il suo direttore spirituale, Giovanni da Marienwerder (1343-1417), dell’Ordine Teutonico, professore a Praga. Era un saggio teologo e, accortosi della grandezza spirituale della penitente, iniziò nel 1392 a trascrivere le sue visioni e il suo insegnamento. Nel 1393 Dorotea si ritirò da reclusa in un locale nei pressi della cattedrale, facendo ogni giorno la comunione, cosa a quei tempi eccezionale. Con l’esempio edificava quanti andavano a trovarla e le vennero attribuite diverse conversioni. Non frequentò mai una scuola, ma aveva un discreto bagaglio culturale, grazie ai suoi viaggi e ai contatti con eminenti ecclesiastici. Oltre all’Ordine Teutonico, fu vicina alla spiritualità domenicana ed ebbe come modello s. Brigida, le cui reliquie passarono per Danzica nel 1374 e di cui conobbe la vita e le rivelazioni.

Grazie all’intuito del confessore, tra il 1395 e il 1404, vennero alla luce diverse opere. Furono edite due “vitae” dai Bollandisti (una rimase inedita) e il “Septililium”, in cui i carismi della mistica sono presentati come effusioni straordinarie dello Spirito Santo. Sono sette le grazie ricevute da Dio: “de caritate”, “de Spiritus Sanctus missione”, “de Eucharistia”, “de contemplatione”, “de raptu”, “de perfectione vitae christianae”, “de confessione”. C’è poi il “Liber de festis” in cui le visioni sono riferite secondo le ricorrenze liturgiche. La dottrina di Dorotea si propone di rinnovare l’uomo attraverso tre percorsi: rimuovere il peccato che toglie all’uomo la somiglianza a Dio, rendendolo simile alle bestie, purificarsi attraverso l’umiltà e le penitenze che fanno crescere le virtù teologali e morali, partecipazione alla Passione di Cristo, dedizione ai poveri, desiderio dell’Eucaristia. Attraverso un lungo percorso di rinnegamento di sé l’anima è successivamente, in modo graduale, trasformata dallo Spirito Santo. Lo stadio ultimo è quello “unitivo”, che inizia col rinnovamento del cuore. Gesù parla a Dorotea, contrapponendo i suoi peccati alla beatitudine celeste, portandola al matrimonio spirituale con Dio. L’anima sente la presenza e la volontà divina, vivendo in sua costante uniformità, come in una dimora, ricevendo virtù, doni, beatitudini, frutti. È la perfezione cristiana, che si può raggiungere solo con la grazia del Signore.

Dorotea morì a Marienwerder il 25 giugno 1394 e fu subito venerata come santa e patrona della Prussia. È rappresentata con in mano il libro delle rivelazioni, la corona del rosario e cinque frecce, le stimmate. La sua spiritualità è stata paragonata a quella di S. Brigida e S. Caterina da Siena.

Autore: Daniele Bolognini

 

 

26 GIUGNO

Vladimiro (Volodymyr) Pryjma Martire ucraino

 + Stradch, Ucraina, 26 giugno 1941

Martirologio Romano: Nella selva di Birok vicino alla città di Stradch nel territorio di Leopoli in Ucraina, beati Nicola Konrad, sacerdote, e Vladimiro Pryjma, che, sotto un regime ateo, testimoniarono con un’impavida morte la speranza nella resurrezione di Cristo.

 

Volodymyr Pryjma laico, padre di famiglia

Stradch, Ucraina, 17 luglio 1906 - Stradch, Ucraina, 26 giugno 1941

 Unico laico tra i nuovi beati martiri ucraini, Volodymyr Pryjma nacque il 17 luglio 1906 nel villaggio di Stradch, nella regione ucraina di Yavoriv. Padre di famiglia, dopo aver ottenuto un diploma in una scuola di canto patrocinata dal metropolita Sheptytsky, divenne cantore e poi direttore del coro della parrocchia di Stradch, ove era appunto parroco Mykola Konrad.

Mykola Konrad sacerdote

Strusiv, Ucraina, 16 maggio 1876 – Stradch, Ucraina, 26 giugno 1941

Mykola Konrad nacque il 16 maggio 1876 nel villaggio ucraino di Strusiv, nella regione di Ternopil. Compì i suoi studi teologici e filosofici a Roma. Nel 1899 ricevette l’ordinazione presbiterale, quale sacerdote diocesano dell’Arcieparchia di Lviv degli Ucraini, e conseguì il dottorato. Iniziò allora ad insegnare nelle scuole superiori di Berezhany e Terebovlia, finché nel 1930 il metropolita André Sheptytsky non lo invitò ad insegnare all’Accademia teologica di Lviv. In seguito il vescovo affidò alle sue cure pastorali la parrocchia del villaggio di Stradch.

Il 26 giugno 1941 i due si recarono in visita ad un parrocchiano gravemente malato, che aveva richiesto gli ultimi sacramenti. Erano ormai di ritorno quando, di passaggio nel vicino bosco di Birok, furono torturati senza pietà e messi a morte da alcuni agenti del NKVD.

Mykola Konrad e Volodymyr Pryjma furono beatificati da Giovanni Paolo II il 27 giugno 2001, insieme con altre 23 vittime del regime sovietico di nazionalità ucraina.

Autore: Fabio Arduino

 

 

27 GIUGNO

 

 

28 GIUGNO

http://4.bp.blogspot.com/-KAHqcxvR5sI/U63IkAtag-I/AAAAAAAA6l8/yohaguydswU/s1600/28-Santa+Mar%25C3%25ADa+Du+Zhao-28.jpgSanta Maria Du Zhaozhi Martire

 m. 1900

Martirologio Romano: In località Jieshuiwang presso la città di Shenxian nella medesima provincia, santa Maria Du Zhaozhi, martire, che, madre di un sacerdote, desistette dalla fuga per non tradire la fede di Cristo e sottopose serenamente il capo alla scure dei nemici.

 

Santi Martiri di Alessandria d'Egitto

m. 202 circa

Martirologio Romano: Ad Alessandria d’Egitto, santi martiri Plutarco, Sereno, Eraclíde catecumeno, Erone neofita, e un altro Sereno, Eráide catecumena, Potamiena e Marcella, sua madre, che furono tutti insigni discepoli di Origene e, sotto l’imperatore Settimio Severo, confessarono Cristo, morendo alcuni trafitti con la spada, altri mandati al rogo; tra loro rifulse, in particolare, la vergine Potamiena, che dapprima sostenne innumerevoli prove in difesa della sua verginità e, infine, dopo aver patito per la fede eccezionali supplizi, fu bruciata insieme alla madre sul rogo.

 

 

29 GIUGNO

San Pietro Apostolo

Oggi abbiamo tra i santi sposati un papa, addirittura il patrono dei papi, addirittura PIETRO apostolo! Forse vedovo ai tempi di Gesù e, secondo alcune fonti padre di Santa Petronilla Bethsaida (Galilea) - † Roma, 67 d.C.

Pietro, scelto da Cristo a fondamento dell'edificio ecclesiale, clavigero del regno dei cieli (Mt 16,13-19), pastore del gregge santo (Gv 21,15-17), confermatore dei fratelli (Lc 22,32), è nella sua persona e nei suoi successori il segno visibile dell'unità e della comunione nella fede e nella carità. Gli apostoli Pietro e Paolo sigillarono con il martirio a Roma, verso l'anno 67, la loro testimonianza al Maestro. (Mess. Rom.)

 Patronato: Papi, Pescatori

Etimologia: Pietro = pietra, sasso squadrato, dal latino

Emblema: Chiavi, Croce rovesciata, Rete da pescatore

Martirologio Romano: Solennità dei santi Pietro e Paolo Apostoli. Simone, figlio di Giona e fratello di Andrea, primo tra i discepoli professò che Gesù era il Cristo, Figlio del Dio vivente, dal quale fu chiamato Pietro. Paolo, Apostolo delle genti, predicò ai Giudei e ai Greci Cristo crocifisso. Entrambi nella fede e nell’amore di Gesù Cristo annunciarono il Vangelo nella città di Roma e morirono martiri sotto l’imperatore Nerone: il primo, come dice la tradizione, crocifisso a testa in giù e sepolto in Vaticano presso la via Trionfale, il secondo trafitto con la spada e sepolto sulla via Ostiense. In questo giorno tutto il mondo con uguale onore e venerazione celebra il loro trionfo.

 

San Pietro è l’apostolo investito della dignità di primo papa da Gesù Cristo stesso: “Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa”. Pur non essendo stato il primo a portare la fede a Roma, ne divenne insieme a s. Paolo, fondatore della Roma cristiana, stabilizzando e coordinando la prima Comunità, confermandola nella Fede e testimoniando con il martirio la sua fedeltà a Cristo.

Nacque a Bethsaida in Galilea, pescatore sul lago di Tiberiade, insieme al fratello Andrea, il suo nome era Simone, che in ebraico significava “Dio ha ascoltato”; sposato e forse vedovo perché nel Vangelo è citata solo la suocera, mentre nei Vangeli apocrifi è riportato che aveva una figlia, la leggendaria santa Petronilla; il fratello Andrea, dopo aver ascoltato l’esclamazione di Giovanni Battista: ”Ecco l’Agnello di Dio!” indicando Gesù, si era recato a conoscerlo ed ascoltarlo e convintosi, disse poi a Simone “Abbiamo trovato il Messia!” e lo condusse con sé da Gesù.

Pietro fu chiamato da Cristo a seguirlo dicendogli “Tu sei Simone il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa = Pietro (che in latino è tradotto Petrus); in seguito dopo la pesca miracolosa, avrà la promessa da Cristo che diventerà pescatore di anime.

Fu tra i più intraprendenti e certamente il più impulsivo degli Apostoli, per cui ne divenne il portavoce e capo riconosciuto, con la celebre promessa del primato: “E io ti dico che sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Ti darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”.

Ciò nonostante anche lui fu preso da grande timore durante l’arresto e il supplizio di Gesù, e lo rinnegò tre volte. Ma si pentì subito di ciò e pianse lagrime amare di rimorso; egli non è un’asceta, un diplomatico, anzi è uno che afferma drasticamente le cose e le dice, protesta come quando il Maestro preannuncia la sua imminente morte, Pietro pensa e poi afferma: “Il Maestro deve morire? Assurdo!”, come altrettanto decisamente si rifiuta di farsi lavare i piedi da Gesù, durante l’ultima cena, ma in questa ed altre occasioni riceve i rimproveri del Maestro ed egli pur non comprendendo, accetta sempre, perché sapeva od aveva intuito di trovarsi davanti alla Verità.

È un uomo semplice, schietto, diremmo sanguigno, agisce d’impeto come quando cerca con la spada, di opporsi alla cattura di Gesù, che ancora una volta lo riprende per queste sue reazioni di essere umano, non ancora conscio, del grande evento della Redenzione e quindi, privato delle sue forze solo umane, non gli resta altro che fuggire ed assistere impotente ed angosciato agli episodi della Passione di Cristo.

 Dopo la crocifissione e la Resurrezione, Pietro ormai convinto della missione salvifica del suo Maestro, riprende coraggio e torna quindi a radunare gli altri Apostoli e discepoli dispersi, infondendo coraggio a tutti, fino alla riunione nel Cenacolo cui partecipa anche Maria.

Lì ricevettero lo Spirito Santo, ebbero così la forza di affrontare i nemici del nascente cristianesimo e con il miracolo della comprensione delle lingue, uscirono a predicare le Verità della nuova Fede.

Gli Apostoli nell’ardore di propagare il Cristianesimo a tutte le genti, non solo agli israeliti, dopo 12 anni trascorsi a Gerusalemme, si sparsero per il mondo conosciuto di allora.

Pietro ebbe il dono di operare miracoli, alla porta del tempio guarì un povero storpio, suscitando entusiasmo tra il popolo e preoccupazione nel Sinedrio. Anania e Zaffira caddero ai suoi piedi stecchiti, per aver mentito e Simon Mago che voleva con i suoi soldi comprare da lui il potere di fare miracoli, subì parole durissime e cadendo rovinosamente, in un tentativo di operarli da solo.

Risuscitò Tabita a Giaffa per la gioia di quella comunità fuori Gerusalemme. Ammise al battesimo il centurione romano Cornelio e la sua famiglia, stabilendo così che cristiani potevano essere anche i pagani e chi non era circonciso, come fino allora prescriveva la legge ebraica di Mosè.

Subì il carcere e miracolosamente liberato, lasciò Gerusalemme, dove la vita era diventata molto rischiosa a causa della persecuzione di Erode Antipa, intraprese vari viaggi, poi nell’anno 42 dell’era cristiana dopo essere stato ad Antiochia, giunse in Italia proseguendo fino a Roma ‘caput mundi’, centro dell’immenso Impero Romano, ne fu vescovo e primo papa per 25 anni, anche se interrotti da qualche viaggio apostolico.

A causa dell’incendio di Roma dell’anno 644, di cui furono incolpati i cristiani, avvenne la prima persecuzione voluta da Nerone; fra le migliaia e migliaia di vittime vi fu anche Pietro il quale finì nel carcere Mamertino e nel 67 (alcuni studiosi dicono nel 64), fu crocifisso sul colle Vaticano nel circo Neroniano, la tradizione antichissima fa risalire allo storico cristiano Origene, la prima notizia che Pietro fu crocifisso per sua volontà, con la testa in giù; nello stesso anno s. Paolo veniva decollato sempre a Roma ma fuori le mura.

Il corpo di Pietro venne sepolto a destra della via Cornelia, dove fu poi innalzata la Basilica Costantiniana.

La grandezza di Pietro consiste principalmente nella dignità di cui fu rivestito e che trascendendo la sua persona, si perpetua nell’istituzione del papato. Primo papa, Vicario di Cristo, capo visibile della Chiesa, egli è il capolista di una gerarchia che da venti secoli si avvicenda nella guida dei fedeli credenti.

L’umile pescatore di Bethsaida, si trovò a guidare la nascente Chiesa, in un periodo cruciale per l’affermazione nel mondo pagano dei principi del Cristianesimo; istituì il primo ordinamento ecclesiastico e la recita del ‘Pater noster’.

Indisse il 1° Concilio di Gerusalemme, fu ispiratore del Vangelo di Marco, autore di due lettere apostoliche nonostante la sua scarsa cultura, nominò apostolo il discepolo Mattia al posto del suicida Giuda Iscariote.

Il primo simbolo che caratterizza la figura di Pietro e dei suoi successori è la ‘Cattedra’, segno della potestà di insegnare, confermare, guidare e governare il popolo cristiano, la ‘cattedra’ è inserita nel grande capolavoro della “Gloria” del Bernini, che sovrasta l’altare maggiore in fondo alla Basilica Vaticana, a sua volta sovrastata dall’allegoria della colomba, raffigurante lo Spirito Santo che l’assiste e lo guida.

http://images.delcampe.com/img_large/auction/000/156/125/139_001.jpg?v=1 Il secondo simbolo, il più diffuso, è lo stemma pontificio, comprendente una tiara, copricapo esclusivo del papa con le chiavi incrociate. La tiara porta tre corone sovrapposte, quale simbolo dell’immensa potestà del pontefice (nel pontificale romano del 1596, la tiara o triregno, stava ad indicare il papa come padre dei principi e dei re, rettore del mondo cattolico e Vicario di Cristo). Questo simbolo perpetuato e arricchito nei secoli da artisti insigni, nelle loro opere di pittura, scultura, araldica, raffiguranti i vari papi, oggi non è più usata e nelle cerimonie d’incoronazione è stata sostituita dalla mitria vescovile.

Questo ad indicare che il papa più che essere al disopra di tutti regnanti, è invece vescovo tra i vescovi e che il suo primato è tale perché vescovo di Roma, a cui la tradizione apostolica millenaria aveva affidato tale compito. Le chiavi simboleggiano la potestà di aprire e chiudere il regno dei cieli, come detto da Gesù a Pietro.

Per tutti i secoli successivi, s. Pietro, rimase fino al 1846 il papa che aveva governato più a lungo di tutti con i suoi 25 anni, poi venne Pio IX con i suoi 32 anni di governo; ma l’attuale pontefice Giovanni Paolo II ha raggiunto anch’egli il quarto di secolo come s. Pietro.

Nessun successore per rispetto, ha voluto chiamarsi Pietro. Nella Basilica Vaticana, nella cripta sotto il maestoso altare con il baldacchino del Bernini, detto della ‘Confessione’, vi sono le reliquie di s. Pietro, venute alla luce durante i lavori di restauro e consolidamento archeologico, fatti eseguire da papa Pio XII negli anni ’50.

Sulla destra dell’immensa navata centrale, vi è la statua bronzea, opera attribuita ad Arnolfo di Cambio, raffigurante l’Apostolo assiso in cattedra, essa si trovava originariamente nel mausoleo che all’inizio del V secolo l’imperatore Onorio, volle costruire sul lato sinistro della basilica, per stare accanto alla tomba del martire; durante le cerimonie pontificie essa viene rivestita con i paramenti papali.

Sporgente dal basamento vi è il piede, ormai consumato dallo strofinio delle mani e dal tradizionale bacio di milioni di fedeli e pellegrini, alternatosi nei secoli e provenienti da tutte le Nazioni.

La festa, o più esattamente la solennità, dei ss. Pietro e Paolo al 29 giugno, è una delle più antiche e più solenni dell’anno liturgico. Essa venne inserita nel messale ben prima della festa del Natale e vi era già nel secolo IV l’usanza di celebrare in questo giorno tre S. Messe: la prima nella basilica di S. Pietro in Vaticano, la seconda a S. Paolo fuori le mura e la terza nelle catacombe di S. Sebastiano, dove le reliquie dei due apostoli dovettero essere nascoste per qualche tempo, per sottrarle alle profanazioni barbariche.

Il giorno 29 giugno sembrerebbe essere la ‘cristianizzazione’ di una ricorrenza pagana, che esaltava le figure di Romolo e Remo, i due mitici fondatori di Roma, come i due apostoli Pietro e Paolo sono considerati i fondatori della Roma cristiana.

Autore: Antonio Borrelli

 

Beato Raimondo Lullo Terziario francescano, martire

 Palma di Maiorca, Isole Baleari, 1235 – Maiorca, 29 giugno 1316

Nasce a Maiorca nel 1235 da famiglia nobile. In gioventù intraprende la carriera politica al seguito del figlio del re d’Aragona. Si sposa ed ha due figli, ma intorno ai trent’anni entra nell’Ordine francescano dedicandosi allo studio e a viaggi di conoscenza, con lo scopo diffondere il cristianesimo soprattutto tra i musulmani. Fonda un collegio per far studiare l’arabo ai francescani e scrive numerosi trattati di formazione missionaria che gli varranno il titolo di «dottore illuminato». Parte poi verso il Medio Oriente dove tenta la via della conciliazione tra cristiani d’Oriente e d’Occidente e nel Nord Africa a predicare tra i musulmani, con spirito tenace anche oltre le difficoltà e gli insuccessi. Muore nel 1316 tornando dall’Africa, e viene sepolto con grandi onori a Maiorca. La fama popolare di beato circonda la sua figura subito dopo la morte, ma solo nel 1850 Pio IX ne approverà il culto, che già gli veniva tributato in Catalogna e nell’Ordine francescano. (Avvenire)

Martirologio Romano: Nel braccio di mare di fronte all’isola di Maiorca, beato Raimondo Lullo, religioso del Terz’Ordine di San Francesco e martire, che, uomo di grande cultura e di illuminata dottrina, per propagare il Vangelo di Cristo instaurò con i Saraceni un fraterno dialogo.

 

Gli è andato bene tutto: famiglia nobile e ricca, e di conseguenza un’ottima educazione; poi l’amicizia col secondogenito del re d’Aragona, don Giacomo, che eredita dal padre il singolare e poco duraturo “Regno di Maiorca”, con le Isole Baleari, le regioni di Montpellier e di Perpignano. Di questo re, lui diventa una sorta di primo ministro; si sposa, gli nascono due figli. Ma sui trent’anni lascia tutto e si mette furiosamente a studiare: filosofia, teologia, lingua araba. Viaggia molto, andrà otto volte a Roma e lo scopo della sua esistenza è ormai uno solo: diffondere il cristianesimo intanto tra i musulmani presenti nelle Baleari, ma andarlo pure a predicare in Africa. Ed è tra i primi a capire che bisogna conoscere bene a fondo la cultura dei popoli che si vogliono evangelizzare.

Fonda innanzitutto un collegio per far studiare l’arabo ai francescani; suggerisce a Roma metodi di formazione missionaria che saranno più tardi adottati da Propaganda Fide: scrive trattati di filosofia e teologia in latino, poesie in lingua catalana, e poi parte verso il Medio Oriente (Cipro, Rodi, Siria, Palestina) tentando di riavvicinare i cristiani d’Oriente e d’Occidente, i “greci” e i “latini”. Va nel Nord Africa per convertire i musulmani, parlando la loro lingua: si è preparato all’impresa scrivendo un trattato sulla ricerca comune della verità, ha scritto anche poesie nella sua lingua nativa, ma con verseggiatura araba; ed è personalmente ben visto dal califfo di Tunisi... L’impresa però fallisce. Così come falliscono i suoi tentativi di riconciliazione tra i cristiani, e i suoi progetti per una crociata in Terrasanta. Il suo amore per il Cristo, "in quella natura meridionale traboccante di sogni grandiosi e di attive risorse, si traduce in un’appassionata volontà di lavorare con tutti i mezzi alla salvezza degli infedeli" (Fliche-Martin, Storia della Chiesa, vol. XIII, p. 433).

Gli va male tutto, umanamente parlando. Anche la sua scuola di lingua araba chiude dopo un ventennio. Tuttavia nessun insuccesso lo scuote. Al concilio di Vienna (1311-1313) propone di fondere in uno solo tutti gli ordini di cavalieri cristiani, e non gli danno retta. Sarà poi chiamato dai posteri Doctor illuminatus, ma i contemporanei non sembrano apprezzare i suoi lumi.

Falliscono ancora due suoi tentativi missionari in Nord Africa, conclusi da arresti ed espulsioni. Anzi, si diffonderà anche la voce che a Bouge (attuale Algeria) egli sia stato lapidato a morte. Ma si tratta di leggenda. Raimondo Lullo muore a Maiorca, di ritorno dall’Africa, e viene sepolto con grandi onori nella chiesa di San Francesco. La fama popolare di beato circonda la sua figura subito dopo la morte, e poi nei tempi successivi: ma anche gli sforzi di farlo beatificare falliscono. Nel 1850, infine, Pio IX approverà il culto come beato, che già da tempo gli veniva tributato in Catalogna e nell’Ordine francescano.

Autore: Domenico Agasso               Fonte: Famiglia Cristiana

 

Santa Emma di Gurk Contessa

 Morta a Gurk, Carinzia (Austria), prima del 1070

Nel giorno dei santi Pietro e Paolo la Chiesa ricorda anche una benefattrice austriaca, Emma. Nata a Gurk, in Carinzia, nel 980, perse marito e figlio. Con il patrimonio di famiglia beneficò i poveri e fondò monasteri benedettini: uno nella città natale e uno ad Admont, in Stiria. Morì 65enne nel 1045. La sua causa di canonizzazione durò quasi cinque secoli, dal 1466 al 1938, quando Pio XI la proclamò santa. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Gurk in Carinzia, santa Emma, che, contessa, visse per quarant’anni vedova e distribuì generosamente molti averi ai poveri e alla Chiesa.

 

Santa, sì, ma piuttosto latitante. Emma di Gurk è un personaggio da inseguire attraverso la storia come un ricercato, contando sulle poche tracce sicure e schivando le volonterose invenzioni successive. Dunque: anno di nascita e luogo sconosciuti. Noi incontriamo Emma quando è già moglie del conte di Sann, appartenente alla più ricca nobiltà del ducato di Carantania, che comprende le attuali regioni austriache di Carinzia e Stiria, e la Carnìola (in Slovenia). Di questo marito, sappiamo che muore nel 1016. Dei figli, ne conosciamo uno solo: Guglielmo, ucciso nel 1036. Alla sua morte, Emma rimane sola, con l’imponente patrimonio di una famiglia che non c’è più. Allora se ne serve per il soccorso ai poveri e per fondare i monasteri di Gurk, femminile, e più tardi quello maschile di Admont. Lei si ritira a vivere come monaca a Gurk, secondo un’attestazione che risale al 1200.Ma non sappiamo se ne diventa badessa – come altre fondatrici – o se rimane semplice religiosa: entra in una sorta di clandestinità che non possiamo certo perlustrare con la fantasia. Ma c’è chi invece alla fantasia e ai sentito dire ricorre volentieri, per compilare testi devoti, ricchi di buone intenzioni ma sprovvisti di prove: così fa ad esempio un certo canonico Arnoldo (inizio del XIII secolo), secondo il quale Emma sarebbe morta nel 1045. In realtà si può dire solamente che è morta prima dell’anno 1070, giacché è ben certo che in quell’anno è stata sepolta nella chiesa di Gurk, da poco costruita. Oltre cento anni dopo (1174), sempre in questa chiesa, si trasferisce il corpo in una tomba per esso ricavata nella profondità della cripta, in mezzo a una selva imponente di colonne romaniche. È noto che in quest’epoca l’iniziativa dei fedeli anticipa spesso quella del clero nel promuovere e divulgare la “fama di santità” di persone morte da poco, e nell’invocare la loro protezione. Così può essere accaduto per Emma, in modo tale da spingere vescovi e monasteri a prendere iniziative ufficiali. Infatti il 12 novembre 1287, a più di due secoli dalla morte, Emma viene ufficialmente beatificata dalla Chiesa. E la tradizione perdura nel tempo, sicché nel 1464 si avvia un regolare processo per la canonizzazione di Emma, destinato però a restare inconcluso per secoli. Intanto a Gurk, la si venera anche con l’arte. Nel XVIII secolo, lo scultore italiano Antonio Corradini, di Este, che lavora molto anche a Vienna e a Venezia, adorna la tomba di lei con una grande decorazione marmorea, che raffigura il momento della sua morte. Infine, nel 1938, al tempo di Pio XI, il processo canonico viene chiuso con l’approvazione del culto già tributato a Emma, come santa, fin dal tempo ormai remoto della sua morte, specialmente in Carinzia e in Slovenia.

Autore: Domenico Agasso                   Fonte: Famiglia Cristiana                       

 

Sante Maria Du Tianshi e Maddalena Du Fengju Martiri cinesi

Dujiadun, Hebei, Cina, 29 giugno 1900

Nella solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, la Chiesa ricorda anche alcuni martiri di diciannove secoli dopo, che fanno parte dei 120 cinesi canonizzati da Giovanni Paolo II il 1 ottobre del 2000. Si tratta di due gruppi di laici. Qui vediamo Maria Du Tianshi e sua figlia Maddalena Du Fengju. Caddero, in odio alla fede, in due diverse località della regione dell'Hebei nel mese di luglio del 1900. Era in corso nel Celeste Impero la cosidetta rivolta dei «Boxers», che iniziata nello Shandong, diffusasi poi nello Shanxi e nell'Hunan, raggiunse anche il vicariato apostolico di Xianxian, affidato ai Gesuiti. I cristiani uccisi in quei frangenti si contarono a migliaia. (Avvenire)

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Nel territorio di Dujiadun sempre presso Shenxian, sante martiri Maria Du Tianshi e Maddalena Du Fengju, sua figlia, che nella medesima persecuzione, snidate da un canneto in cui si erano nascoste, morirono per la loro fede in Cristo, la seconda gettata ancora viva nel sepolcro.

 

Per molti secoli sino ad oggi i cristiani cinesi sono stati vittime di violente persecuzioni che raggiunsero l’apice nell’anno 1900 con l’infuriare della cosiddetta “rivolta dei Boxers”. Dalla metà del mese di giugno essa raggiunse anche lo Shenxian, vicariato apostolico cinese affidato alla cura pastorale dei Gesuiti.

Il 29 giugno i soldati raggiunsero il villaggio di Dujiadun, presso Shenxian, nella provincia cinese dello Hebei, e qui uccisero due donne che non esitarono a professare la loro fede cristiana: la laica sposata Maria Du Tianshi (51 anni) e sua figlia Maddalena Du Fengju (19 anni). Erano entrambe native di Shenxian ed insieme andarono incontro al martirio, quando furono scovate in un campo ove si erano rifugiate. Pare che una delle due venne seppellita ancora agonizzante.

In quel periodo le vittime si contarono a migliaia ed i Gesuiti ritennero opportuno non disperdere la memoria di questi intrepidi testimoni della fede. Raccolsero allora il materiale reperibile ed il 28 maggio 1948 fu introdotta dunque la causa di canonizzazione del gruppo denominato “Leon-Ignace Mangin e 55 compagni”, che portò alla beatificazione il 17 aprile 1955, in seguito al riconoscimento del loro martirio avvenuto il 22 febbraio precedente, ed infine all’ufficializzazione della loro santità da parte di Giovanni Paolo II durante il Grande Giubileo del 2000, unitamente ad un gruppo complessivo di 120 martiri cinesi di varie epoche.

Autore: Fabio Arduino

 

San Paolo Wu Yan, Giovan Battista Wu Mantang e Paolo Wu Wanshu Martiri cinesi

 Xiaoluyi, Hebei, Cina, 29 giugno 1900

Nella solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, la Chiesa ricorda anche alcuni martiri di diciannove secoli dopo, che fanno parte dei 120 cinesi canonizzati da Giovanni Paolo II il 1 ottobre del 2000. Si tratta di due gruppi di laici. Qui vediamo Paolo Wu Yan insieme al figlio Giovanni Battista Wu Mantang, di diciassette anni, e al nipote Paolo Wu Wanshu di sedici. Caddero, in odio alla fede, in due diverse località della regione dell'Hebei nel mese di luglio del 1900. Era in corso nel Celeste Impero la cosidetta rivolta dei «Boxers», che iniziata nello Shandong, diffusasi poi nello Shanxi e nell'Hunan, raggiunse anche il vicariato apostolico di Xianxian, affidato ai Gesuiti. I cristiani uccisi in quei frangenti si contarono a migliaia. (Avvenire)

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Nel territorio di Xiaolüyi presso Shenxian nella provincia dello Hebei in Cina, santi martiri Paolo Wu Jan, Giovanni Battista Wu Mantang, suo figlio, e Paolo Wu Wanshu, suo nipote, che nella persecuzione dei Boxer, per aver confessato di essere cristiani, meritarono di raggiungere tutti insieme la corona del martirio.

 

Per molti secoli sino ad oggi i cristiani cinesi sono stati vittime di violente persecuzioni che raggiunsero l’apice nell’anno 1900 con l’infuriare della cosiddetta “rivolta dei Boxers”. Dalla metà del mese di giugno essa raggiunse anche lo Shenxian, vicariato apostolico cinese affidato alla cura pastorale dei Gesuiti.

Il 29 giugno i soldati raggiunsero il villaggio di Xiaoluyi, presso Shenxian, nella provincia cinese dello Hebei, e qui uccisero tre persone che non esitarono a professare la loro fede cristiana: il laico sposato Paolo Wu Juan (62 anni), suo figlio Giovanni Battista Wu Mantang (17 anni) e suo nipote Paolo Wu Wanshu (16 anni). Erano tutti nativi del paese medesimo ove andarono incontro al martirio.

In quel periodo le vittime si contarono a migliaia ed i Gesuiti ritennero opportuno non disperdere la memoria di questi intrepidi testimoni della fede. Raccolsero allora il materiale reperibile ed il 28 maggio 1948 fu introdotta dunque la causa di canonizzazione del gruppo denominato “Leon-Ignace Mangin e 55 compagni”, che portò alla beatificazione il 17 aprile 1955, in seguito al riconoscimento del loro martirio avvenuto il 22 febbraio precedente, ed infine all’ufficializzazione della loro santità da parte di Giovanni Paolo II durante il Grande Giubileo del 2000, unitamente ad un gruppo complessivo di 120 martiri cinesi di varie epoche.

Autore: Fabio Arduino

 

 

30 GIUGNO

Continua, in questa fine di giugno, l'abbondanza dei santi sposi. Oggi celebriamo una santa coppia, Andronico e Giunia che per il loro zelo meritarono l’appellativo di “apostoli” che furono citati da San paolo nella Lettera ai Romani "che per il loro zelo meritarono l’appellativo di “apostoli” (Rm 16,7). A seguire San Ladislao, Re d'Ungheria e infine la memoria dei Santi primi martiri della Chiesa di Roma dove tanti sposi resero testimonianza col sangue.

Santi Andronico e Giunia di Roma Sposi, discepoli di San Paolo

 I secolo

Salutati dall'apostolo Paolo nella lettera ai Romani. Li chiama "miei parenti e compagni di prigionia; sono degli apostoli insigni che erano in Cristo già prima di me" (Rm 16,7). Sarebbero due coniugi giudeo-cristiani che per il loro zelo meritarono di essere chiamati con il titolo di "apostoli".

 

Andronico e Giunia vivevano a Roma verso l’anno 58 d.C., quando l’apostolo Paolo li salutò calorosamente nella Lettera ai Romani (Rom 16,7) soggiungendo: “Sono miei parenti e compagni di prigionia, illustri tra gli apostoli, e fattisi cristiani prima di me”. Il legame di parentela potrebbe essere effettivo oppure in senso più esteso come spesso accadeva in Oriente. Come Paolo anch’essi erano di origine giudea e forse appartenenti alla stessa tribù di Beniamino, mentre la comune prigionia alluderebbe ad una delle molteplici occasioni in cui l’apostolo delle genti soffrì ceppi e catene. Definirli “illustri tra gli apostoli” costituisce una lode al loro zelo, esplicato in modo particolare tra i loro connazionali giudei presenti a Roma. Andronico e Giunia erano cristiani della prima ora, convertitisi probabilmente già a Gerusalemme e poi trasferitisi a Roma.

Come si è visto sono assai scarse le informazioni sul loro conto contenute negli scritti paolini, ma la tradizione cristiana ha sopperito a tale carenza tramandando non poche leggende su questi misteriosi santi. Lo stesso nome di Giunia non è chiaro se sia il nome di un uomo, contrazione di Giuniano, o di una donna, in questo caso sorella o piuttosto moglie di Andronico, come infatti ipotizzarono il Crisostomo e molti altri studiosi più recenti. Andronico e Giunia sarebbero allora una coppia di coniugi giudeo-cristiani, proprio come Aquila e Priscilla citati poco prima da San Paolo, che per il loro zelo meritarono l’appellativo di “apostoli”. Secondo Ippolito di Roma, Andronico sarebbe stato uno dei settanta discepoli inviati da Gesù, poi vescovo in Pannonia, mentre il “Catalogus virorum apostolicorum” lo vuole vescovo in Spagna.

Andronico e Giunia, mai inseriti nel Martyrologium Romanum, sono festeggiati dalla Chiesa greca al 30 giugno insieme a tutti i santi del Nuovo Testamento.

Autore: Fabio Arduino

 

San Ladislao Re d'Ungheria

 1031 - 30 luglio 1096

Figlio di Bela, re d'Ungheria, nacque nel 1031, ma essendo il trono elettivo non aveva alcun diritto alla successione. Ben presto però le sua qualità e la sua vita gli meritarono l'elezione a re e guidò un governo secondo il volere di Dio. Appena ebbe nelle sue mani le redini del potere si diede a riformare i costumi, rinnovare i tribunali e rialzare la pubblica moralità. Lottò, combattè e soffrì, ma alla fine riuscì a rendere il suo popolo profondamente cristiano e degno di essere additato a esempio di ogni altro. Era casto, detestava l'avarizia e aveva una spiccata sobrietà che usava nei cibi e nelle bevande tanto da far stupire i suoi cortigiani. Inoltre dedicava molte ore alla preghiera e alle buone letture. La giustizia e l'imparzialità unite all'amore evangelico resero Ladislao un modello di re. Riparò nel suo regno i guasti causati dalle innumerevoli ribellioni e da molte eresie, formando una nazione unita nella fede.

Etimologia: Ladislao = signore, che governa glorioso, dal polacco)

Martirologio Romano: A Nitra sull’omonimo fiume presso i monti Carpazi, nell’odierna Slovacchia, transito di san Ladislao, che, re di Ungheria, durante il suo regno ristabilì le leggi cristiane introdotte da santo Stefano, riformando i costumi e dando lui stesso esempio di virtù; si adoperò con zelo nel propagare la fede cristiana nella Croazia, unita al regno di Ungheria, istituendo la sede episcopale a Zagabria. Morì mentre muoveva guerra ai Boemi e il suo corpo fu poi deposto a Oradea in Transilvania.

 Ladislao, figlio di Bela, re d’Ungheria, nacque l’anno 1031, ma essendo il trono elettivo non aveva alcun diritto alla successione. Ben presto però le bellissime qualità e la integerrima sua vita gli meritarono l’elezione a re e un governo secondo il cuore e il volere di Dio.

Appena ebbe nelle sue mani le redini del potere si diede con meravigliosa alacrità a ripurgare tutta la legislazione, riformare i costumi, rinnovare tribunali, rialzare la pubblica moralità, calpestata da ogni classe di cittadini. L’intento che guidava il santo monarca era quello di fare che la religione divenisse cardine della legislazione e base di tutto il benessere sociale. Per questo lottò, combatté, soffrì, ma alla fine trionfò, rendendo il suo popolo profondamente cristiano e degno di essere additato a modello di ogni altro.

Era casto, pietoso, informato ai precetti evangelici; detestava l’avarizia, l’ambizione e stimava perduto quel giorno nel quale non avesse fatto del bene, o impedito del male. La sobrietà che usava nei cibi e nelle bevande facevano stupire i suoi cortigiani che si domandavano come mai il loro re, benché gli venissero preparati prelibatissimi pranzi, rinunziasse a tutto cibandosi spesso di legumi e bevendo acqua pura.

Sempre occupato a disimpegnare le cose dello stato, trovava tuttavia le ore per le preghiere e per le buone letture; nella sua grande carità non cessava di abbellire chiese, sollevare le miserie della sua nazione, proscrivendo i trasgressori delle leggi senza accettazione di persone.

La giustizia, l’imparzialità, l’intransigenza e una titanica volontà unite all’amore evangelico, resero Ladislao modello di re. Riparò nel suo regno i guasti causati dalle innumerevoli ribellioni e da molte eresie, formando un popolo unito nella fede, sottomesso in tutto alla Sede Apostolica, popolo che assieme al suo re, rimase d’indelebile memoria ai posteri.

Intanto i Turchi, orgogliosi della conquista dei luoghi santi, minacciavano l’Europa e opprimevano crudelmente i fedeli caduti nelle loro mani. Dall’Europa fu lanciato il grido della liberazione dei fratelli, e i principi che pronti risposero all’eco non tardarono ad allestire eserciti a questo nobile fine.

Anche il re Ladislao preparò le sue milizie, e già tutto era pronto quando cadde repentinamente ammalato. Subito gli furono prodigate le cure da parte dei medici del caso, ma egli sapendo ehe la divina misericordia ormai lo voleva al cielo, si munì dei conforti spirituali della Chiesa. Contento di avere combattuto e sofferto per la causa di Dio, con l’anima tranquilla, con gli occhi fissi al cielo placidamente spirava il 30 luglio dell’anno 1096.

Autore: Antonio Galuzzi

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San Ladislao

Re dell'XI secolo San Ladislao, Re d'Ungheria, e quale re! La tradizione lo dice bellissimo, fortissimo, valorosissimo. Superava in altezza, con tutta la fiera testa, i suoi sudditi e anche fisicamente dominava eserciti e assemblee. Perciò, nella storia, ha più i caratteri dell'eroe che non quelli del Santo, per quanto il Santo sia sempre un eroe. Ma Ladislao sembrava un eroe da poema cavalleresco, tant'è vero che il popolo lo chiamava col vezzeggiativo di Lancellotto, un nome molto caro alla letteratura feudale. Anche la sua ascesa al trono fu avventurosa e non troppo pacifica. Egli era nato in Polonia, intorno al 1045, da un principe ungherese in esilio a causa di rivalità dinastiche. Suo zio, Andrea, privo di discendenza, lo richiamò per farne il proprio successore, ma poco dopo ebbe anch'egli un figlio, di nome Salomone. Quando si trattò della successione, gli Ungheresi preferirono il prode e forte Ladislao al legittimo erede d'Andrea, Salomone, che pareva avesse la saggezza dell'antico Re biblico. Tant'è vero che si ritirò tranquillamente in un monastero, lasciando campo libero al cugino Ladislao. I contemporanei giudicano Ladislao buono giusto, caritatevole. Lo chiamano «padre degli orfani», soccorso dei poveri, conforto degli afflitti. Se pubblicamente si mostrò nella dignità del suo grado, conquistando le simpatie del popolo, anche per la sua prestanza fisica, privatamente fece vita d'asceta, digiunando e pregando. La sua condotta fu irreprensibile sotto tutti i riguardi. Non si sa bene se ebbe moglie e se il successore fosse suo figlio o suo nipote. Qualche storico dice che Ladislao sposò, nel 1060, Adelaide figlia del Duca di Corinto, e aggiunge che il matrimonio non fu turbato da nessun disordine. Si parlò addirittura di miracoli, lui ancora vivente, e di fenomeni soprannaturali di levitazione. Tutto questo per quanto il Re fosse impegnato in dure azioni difensive contro i Tartari, che già devastavano il paese e che egli ricacciò nella steppa; o contro Bulgari e Serbi, che sottomise e governò con saggezza. Dopo la morte d'un suo cognato unì la corona d'Ungheria con quelle della Croazia e della Dalmazia. La fama del suo valore e della sua pietà era tanto alta che, quando Pietro l'Eremita predicò la prima Crociata, in un primo momento non si pensò, come comandante, a Goffredo di Buglione ma a Ladislao d'Ungheria. Egli però morì prima che i guerrieri cristiani di tutta l'Europa si raccogliessero sotto i labari crociati, il 30 giugno 1095, in Moravia. La sua festa venne anticipata al 27, perché in quel giorno e nel precedente la Chiesa onorava i grandi suoi Apostoli Pietro e Paolo, mentre il Re Ladislao, acclamato Santo dagli Ungheresi, non fu mai ufficialmente canonizzato a Roma, per quanto il suo «elogio» sia accolto, il 27, nel Martirologio della Chiesa.

da: http://www.scuoledinfanzia.it/vita_santi.php?id=995

 

Santi Primi martiri della santa Chiesa di Roma Martiri

sec. I, dall'anno 64

La Chiesa celebra oggi molti cristiani che, come attesta Papa Clemente, furono trucidati nei giardini vaticani da Nerone dopo l'incendio di Roma (luglio 64). Anche lo storico romano Tacito nei suoi Annali dice: 'alcuni ricoperti di pelle di belve furono lasciati sbranare dai cani, altri furono crocifissi, ad altri fu appiccato il fuoco al termine del giorno in modo che servissero di illuminazione notturna'. (Mess. Rom.)

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Santi protomartiri della Santa Chiesa di Roma, che accusati dell’incendio della Città furono per ordine dell’imperatore Nerone crudelmente uccisi con supplizi diversi: alcuni, infatti, furono esposti ai cani coperti da pelli di animali e ne vennero dilaniati; altri furono crocifissi e altri ancora dati al rogo, perché, venuta meno la luce del giorno, servissero da lampade notturne. Tutti questi erano discepoli degli Apostoli e primizie dei martiri che la Chiesa di Roma presentò al Signore.

 

L'odierna celebrazione introdotta dal nuovo calendario romano universale si riferisce ai protomartiri della Chiesa di Roma, vittime della persecuzione di Nerone in seguito all'incendio di Roma, avvenuto il 19 luglio del 64. Perché Nerone perseguitò i cristiani? Ce lo dice Cornelio Tacito nel XV libro degli Annales: "Siccome circolavano voci che l'incendio di Roma fosse stato doloso, Nerone presentò come colpevoli, punendoli con pene ricercatissime, coloro che, odiati per le loro abominazioni, erano chiamati dal volgo cristiani".

Ai tempi di Nerone, a Roma, accanto alla comunità ebraica, viveva quella esigua e pacifica dei cristiani. Su questi, poco conosciuti, circolavano voci calunniose. Nerone scaricò su di loro, condannandoli ad efferati supplizi, le accuse a lui rivolte. Del resto le idee professate dai cristiani erano di aperta sfida agli dei pagani gelosi e vendicativi... "I pagani - ricorderà più tardi Tertulliano - attribuiscono ai cristiani ogni pubblica calamità, ogni flagello. Se le acque del Tevere escono dagli argini e invadono la città, se al contrario il Nilo non rigonfia e non inonda i campi, se vi è siccità, carestia, peste, terremoto, è tutta colpa dei cristiani, che disprezzano gli dei, e da tutte le parti si grida: i cristiani ai leoni!".

Nerone ebbe la responsabilità di aver dato il via all'assurda ostilità del popolo romano, peraltro molto tollerante in materia religiosa, nei confronti dei cristiani: la ferocia con la quale colpì i presunti incendiari non trova neppure la giustificazione del supremo interesse dell'impero. Episodi orrendi come quello delle fiaccole umane, cosparse di pece e fatte ardere nei giardini del colle Oppio, o come quello di donne e bambini vestiti con pelle di animali e lasciati in balia delle bestie feroci nel circo, furono tali da destare un senso di pietà e di orrore nello stesso popolo romano. "Allora - scrive ancora Tacito - si manifestò un sentimento di pietà, pur trattandosi di gente meritevole dei più esemplari castighi, perché si vedeva che erano eliminati non per il bene pubblico, ma per soddisfare la crudeltà di un individuo", Nerone. La persecuzione non si arrestò a quella fatale estate del 64, ma si prolungò fino al 67.

Tra i martiri più illustri vi furono il principe degli apostoli, crocifisso nel circo neroniano, dove sorge la basilica di S. Pietro, e l'apostolo dei gentili, S. Paolo, decapitato alle Acque Salvie e sepolto lungo la via Ostiense. Dopo la festività congiunta dei due apostoli, il nuovo calendario vuole appunto celebrare la memoria dei numerosi martiri che non poterono avere un posto peculiare nella liturgia.

Autore: Piero Bargellini